39. He's back

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Unii le mani a coppa e raccolsi quanta più acqua potei dal getto del rubinetto, per poi avvicinarle entrambe al mio viso e provare un brivido di ghiaccio non appena l'acqua gelata venne a contatto con la mia pelle.

Chiusi la manopola dell'acqua fredda e, tenendo gli occhi sigillati per evitare che le gocce d'acqua andassero ad insinuarsi dentro di essi, mossi la mia mano alla ricerca della tovaglia che trovai appesa al muro, poco più in là dello specchio.

Avrei potuto sprofondare il capo in un secchio pieno di ghiaccio, pur di far smettere il mal di testa che pulsava continuamente nelle mie tempie. Accidenti a me e alla mia maledetta testa calda. Non ero più adolescente da un bel pezzo, non mi erano più permesse le bravate da ragazzina. Dovevo guardare in faccia la realtà e convivere con la convinzione che i dispetti e le ripicche non portavano da nessuna parte, anzi, peggioravano le cose. E questo avevo dovuto provarlo sulla mia pelle per capirlo completamente.

Tamponai l'intero volto con quel morbido panno e, improvvisamente, osservando il mio riflesso, la mia attenzione andò a posarsi su una macchia deforme e scura, che spiccava nettamente sulla pelle pallida della gola. Rimasi immobile, con l'asciugamano a mezz'aria ancora sul mio volto. Ero come paralizzata, non volevo crederci.

Lentamente mi mossi, quasi impaurita dalla conclusione alla quale, malauguratamente, stavo giungendo.
Gettai l'oggetto ormai impregnato d'acqua nel lavandino e mi sporsi in avanti, esaminando meglio quell'ematoma dall'aspetto ripugnante.
Era semplicemente orribile il contrasto tra il bianco della pelle e l'indefinito colorito dell'orribile marchio che mi ritrovavo addosso.

Scostai i capelli e rimasi immobile, a fissare la mia immagine con sgomento.
Stavolta aveva oltrepassato ogni limite.
Non era più lui, non era più James, quello che mi amava più della sua stessa vita, non era più il James che era disposto a farsi sparare pur di farmi evadere.
Quel James non esisteva più.
Ora era un'entità ostile, quasi sconosciuta.

E questo faceva male, molto male.

E ciò che volevo capire ad ogni costo era il motivo di questo repentino cambiamento.
Incominciavo a sospettare che ci fosse di mezzo un'altra donna, e quando dicevo "un'altra donna", intendevo Emma.

Ma allora perché si era dimostrato talmente geloso e possessivo da alzare le mani, se il primo a non essere fedele era proprio lui?
C'era qualcosa che non tornava. Mancava un pezzo del puzzle, necessario al raggiungimento dell'obiettivo finale: ricostruire il disegno.

Bisognava ricominciare dall'inizio, bisognava tornare alle origini.
Perché aveva insistito a tutti i costi di fuggire a Los Angeles?
Perché proprio lì? Perché non a San Francisco o San Diego?
Cosa rendeva Los Angeles di così vitale importanza?

Erano tutti interrogativi che esigevano di essere associati a delle risposte, risposte solide e risolute.

Con uno scatto di improvvisa ira, rovesciai tutto ciò che giaceva sulla mensola alla mia destra, producendo un rumore assordante di cadute e vetri frantumati.
Mi sentivo come impotente nei confronti di una realtà che dovevo costringermi ad accettare: James mi aveva messo le mani addosso, e ciò significava soltanto una cosa: avrei dovuto prendere immediatamente le distanze da lui, prima che la situazione fosse degenerata e fossero potuti accadere avvenimenti più spiacevoli.
Era dura da accettare ma dovevo farlo.

Dovevo andare via. Rischiando anche il carcere. Dopotutto, meglio trascorrere vent'anni dietro le sbarre che non una vita intera in una bara.

Uscii dal bagno, dotata di una nuova mente, e mi diressi dritta al piano di sotto.
Dovevo uscire. Dovevo riflettere, e il miglior modo per farlo era camminare all'aria aperta, dove la mente è libera di vagare verso le mete che ritiene più opportune, dove può finalmente sciogliere le catene che la tengono imprigionata e oppressa da pensieri negativi o oscuri.

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora