41. Break up

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Avanzai cautamente in casa, cercando di ignorare con tutte le mie forze il ragazzo davanti a me che mi fissava affranto, probabilmente convinto del fatto che lo ignorassi per via di ciò che era successo la sera prima.

Non mi rimaneva che sperare che non avesse udito ciò che gli avevo detto prima, il modo in cui gliel'avevo detto, l'affetto con cui avevo sfiorato il suo volto con il cuore in mano.
Sarebbe stato un netto controsenso.

Senza nemmeno fargli un cenno di saluto, lo sorpassai e andai a gettarmi sul divano, con il battito cardiaco più veloce della norma e l'ansia a divorarmi completamente.
Probabilmente stavo per mettere fine all'unica cosa che aveva reso la mia vita degna di essere chiamata tale.

Mandai giú il groppo formatosi nella gola e afferrai il telecomando poggiato sul basso tavolino si fronte a me.
Appena accesi la televisione mi venne l'istinto di prenderla e gettarla fuori: il canale su cui era rimasta sintonizzata stava proprio trasmettendo un programma in cui una coppia di ragazzi erano intenti a baciarsi e a sussurrarsi frasi dolci.

Borbottai tra me e me mentre velocemente cambiavo canale, con una violenza tale che avrei potuto rompere il tasto del telecomando.

Strizzai le palpebre dalla frustrazione allorquando sentii il divano affossarsi di fianco a me.
Ma perché deve rendermi tutto più difficile?
Quando voleva sapeva essere odioso e insopportabile, e guarda caso proprio allora che doveva esserlo diventava tutto ad un tratto tenero e adorabile.

«Io e te dobbiamo parlare» sussurrò con voce calma e poggiando delicatamente una mano sul mio braccio, che scivolò lentamente fino a finire sulla mano con cui stringevo saldamente il telecomando. A quel contatto rilassai la presa ferrea e mi voltai verso di lui, commettendo un gravissimo errore, incatenando i miei occhi nei suoi.

Puntò il suo sguardo sulle nostre mani, una sull'altra, e lentamente si impossessò del telecomando per poi spegnere la televisione. E mai più di allora sentii che non sarei riuscita a farcela.
Tante volte avevo riscontrato numerose e insipide difficoltá, molto probabilmente più di quelle che una normale ragazza della mia età poteva aver trovato nella sua ancora breve vita. E tuttavia, mai mi aveva soltanto sfiorato il pensiero che non ce l'avrei mai potuta fare.
Ma lí era diverso. Entravano in gioco numerosi altri fattori che fino ad allora avevano sostato in panchina, e aspettavano solo di entrare in campo.
Il senso di colpa, il rimorso, la paura.

La paura di vivere a fianco alla tristezza e al rimpianto, la paura di vivere con i ricordi, ricordi incapaci di ripetersi, perché la persona con cui avevo condiviso quei ricordi l'avevo lasciata andare, e non avrei mai potuto dire a nessuno perché.
Ecco cosa faceva più male. La paura.
Sentimento potente, capace di divorare anche il più impavido dei guerrieri, poiché è umano avere paura.

Deviai lo sguardo, che puntai sul tavolino di fronte a me, e iniziai a giocherellare con le dita, totalmente in preda all'ansia e al nervosismo più totale.

Lo sentii sospirare più volte prima di parlare. Se era difficile per lui, allora neanche immaginava la guerra interna che era in atto nel mio corpo. Cuore e cervello lottavano fra di loro in uno scontro tra razionalità e impulsività.
Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani.

«Ascoltami» ordinò girandosi verso di me con il corpo e afferrandomi entrambe le mani, che non riuscii a rifiutargli.
Alzai di poco il volto, lentamente.

«Sí lo so. Sono un bastardo» pronunciò con una nota di disprezzo nella voce, disprezzo che sentiva verso sé stesso e il suo carattere che, esattamente come me, trovava complicato da domare. Ma ci stava provando, si vedeva, e anche questo era un altro aspetto che ci accomunava.

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora