Dormivo beatamente quando venni svegliata da qualcosa, o meglio, qualcuno.
Un ragazzo mi stava scuotendo leggermente.
Aprii gli occhi con la lentezza che caratterizza una persona appena sveglia, e mi alzai a mezzo busto sul letto. Notai il poliziotto dietro le sbarre e il ragazzo, il mio compagno di cella davanti a me. Mi fissava con aria indifferente, e senza dire nulla si diresse verso il poliziotto, che intanto aveva già aperto la cella.
Scostai la coperta di dosso liberando le mie gambe scoperte per metà a causa del pantaloncino bianco che mi era stato permesso di portare come pigiama.
«Ma che...?»
«É ora della doccia signorina.»
«Ah, va bene.»
Va bene un corno, nei carceri la doccia si fa in comune.
Scesi dal letto. Ormai ero sveglia e vigile.
Mi diressi dal poliziotto.
«Scusi, una domanda, tanto per sapere.»
«Mi dica» rispose gentile.
Almeno era cordiale...
«Con chi dovrei farla?»
«Tecnicamente con tutti, ma non ci sembrava affatto il caso. Ci siamo limitati a farla fare a voi due»
In quel momento penso proprio di avere assunto un'espressione assurda, un misto tra lo sdegno e l'irritazione.
«Mi dispiace» continuò.
«Ordini superiori»
A quel punto mi alterai. Avrei dovuto fare la doccia nello stesso bagno con un uomo? Non esisteva affatto.
«Ordini superiori un cazzo! Dica al suo superiore che io non mi lavo con un uomo»A quel punto intervenne il diretto interessato, che fino ad allora era rimasto a fissare la scena con aria scocciata e indifferente.
«Io la doccia la faccio. Tu come vuoi fare fai. Non preoccuparti, non sono un maniaco sessuale, non ti toccherò né guarderò se é quello che ti preoccupa» sbottò poco gentilmente per poi avviarsi fuori dalla cella con una borsa.
Rimasi a bocca aperta dalle sue parole dette con tanta sfrontatezza.
Che schifo di carattere.
Grandioso, mi toccava dividere tre metri cubi con uno stronzo menefreghista.Presi il mio zaino e lo seguii anch'io, mentre venivamo accompagnati silenziosamente dal quel poliziotto.
Se c'era una cosa che odiavo era il dover passare davanti a tutti. Come prevedevo, non mancarono commenti che mi toccarono il sistema nervoso.
Un uomo pelato, da dietro le sbarre urlò: «Maslow, datti da fare in quella doccia!»
Lì, i neuroni cominciarono a surriscaldarsi, ma il poliziotto mi mandó un'occhiata che mi invitava a lasciar perdere. Lo feci. Lasciai perdere, anche perché il ragazzo sembrava non sentirlo affatto.
Immaginavo che Maslow fosse il suo cognome.
«Avanti, sbattitela anche per me già che ci sei»A questo punto, se prima si erano surriscaldati, i neuroni adesso erano andati in cortocircuito del tutto.
Mi fermai, e lasciai cadere lo zaino dalla mia spalla.
«Chiedo scusa» dissi al poliziotto con estrema calma e sfoderando un sorriso plastificato. Quella calma, in realtà si tramutò in forza, in quanto a grandi passi mi avvicinai alla cella dello stronzo che aveva fatto il simpatico.
Se non ci fossero state le sbarre a dividerci, non se la sarebbe cavata.Lo presi dal colletto, e lo tirai facendogli battere la testa pelata sulle sbarre. A quel punto il poliziotto mi tirò a se, e mi obbligò a camminare, assicurandosi che non sarei scappata.
E intanto da dietro provenivano altri commenti.
«Attento, ha gli artigli!»«Non farci caso. Non vedono una donna dall'età del ferro»
«Me ne sono accorta»
Il poliziotto vicino a me era cordiale, e si dimostrava disposto ad aiutarmi.Un punto in mio favore, pensavo.
Mai pensiero fu più errato di quello.Arrivammo alle docce e il poliziotto rimase fuori. Volevo proprio vedere se aveva intenzione di seguirci anche nel bagno. In questo modo, rimanemmo io e quel ragazzo, soli.
Ero letteralmente paralizzata. Non mi sarei tolta un calzino in sua presenza.
Le docce erano numerose, e tutte allineate in file.
Quando lo vidi togliersi la maglia, mi voltai dall'altro lato, tanto per non mostrarmi imbarazzata di fronte ad un corpo scolpito come il suo.
Rimaneva sempre il fatto che non mi sarei spogliata.Ma pensai: se fossi andata alla fila di dietro, non mi avrebbe vista.
Trovai una soluzione...
Basta pensare! Quel tipo stava continuando a togliersi i vestiti come se niente fosse, come se fossi trasparente.
Mi affrettai a prendere i vestiti e a posizionarmi sotto il getto, attenta che fosse una postazione da cui non potesse vedermi.Quindi tolsi anch'io i miei vestiti, e iniziai a bagnarmi il corpo. Mi servivano però il bagnoschiuma e lo shampoo che trovai sulla sommità della doccia.
Ecco, appunto.
Sulla sommità.
Erano tutti e due sulla sommità.
Chi ci arrivava a questa maledetta sommità? Maledetto il mio metro e sessantotto.
No... non gliel'avrei chiesto. Non potevo.
E come avrei dovuto lavarmi? Solo con acqua?
Mentre le fazioni opposte della mia coscienza combattevano fra loro, mi feci coraggio, presi la tovaglia e mi coprii il corpo.Sospirai. Di cosa mi vergognavo? Di chiedergli gentilmente di prendermi i flaconi? Non volevo mica chiedergli di fare chissà quale perversione...
Parlai, quasi balbettai. «Mi faresti un favore?»
Lui si girò, al che io mi voltai istintivamente dall'altra parte.
«Potresti prendermeli?» indicai gli oggetti con l'indice.Lui posò il sapone, sciacquò le mani e si mise la tovaglia in vita.
Almeno...
Venne vicino a me, e io mi coprii più che potei con quella minuscola tovaglia.Dopo aver afferrato quei flaconi, senza dire né ai né bai, tornò a fare quello che stava facendo. Non lo ringraziai. Sarei sembrata molto più ridicola di quanto non lo fossi già stata.
Mi lavai, e mi vestii.
Dopo di che uscimmo entrambi, e trovammo il solito poliziotto che ci accompagnò nella nostra cella, dove trovammo la colazione, o quel che dovrebbe essere stato.
Ci sedemmo, mentre si udivano le urla sguaiate dei detenuti che stavano uscendo dalle celle per lavarsi. Mi sarebbe toccato farlo insieme a loro. Solo allora capii che mi era andata di lusso. Per lo meno non era un maniaco, e non sbirciava. Un altro punto a mio favore.Prendemmo posto uno di fronte all'altro in quel tavolino si cui erano poste le nostre colazioni. Una mela, una bottiglietta d'acqua, alcune ciotoline di marmellata e qualche fetta biscottata.
Io che mangiavo come un leone avrei dovuto sopravvivere con quel misero pasto. Se non altro, non sarebbe cambiato niente. Sarei sempre rimasta magra, indipendentemente da quanto avrei mangiato. Il mio metabolismo bruciava molto in fretta le calorie che assumevo. Perciò, o mangiavo tanto, o mangiavo poco, restavo sempre uguale.Non una parola. Non mi aveva detto neanche il suo nome. Perché avrebbe dovuto dirmelo? Chi ero io per avere questo privilegio?
Però mi dispiaceva il fatto che non volesse legare. Io avrei voluto farlo. Per sentirmi meno sola, per avere un amico, o semplicemente una persona con cui scambiare due parole.
O forse c'era qualcosa di più, qualcosa di più complesso che ancora neanche io sapevo spiegarmi. Ma un giorno ci sarei arrivata. E quel giorno non fu poi così lontano.
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You're not Alone • James Maslow
Fanfiction•Ispirato a 48 hours to live• Una giovane solitaria, rimasta orfana all'età di diciassette anni, di conseguenza sviluppa un carattere freddo, privo di emozioni, che la porterà ben presto a commettere un passo falso, motivo per cui finirá in prigione...