«Siamo arrivati, signorina.»
La voce del poliziotto al volante mi disse che eravamo arrivati a destinazione. Nel carcere in cui sarei stata per sette anni.Misi i piedi fuori dall'auto, dopo aver preso il mio zainetto contenente qualche vestito e oggetti che mi sarebbero tornati utili, e venni scortata da un poliziotto alto, moro, occhi verdi. Rimasi particolarmente impressionata dal colore dei suoi occhi, perché erano tali e quali a quelli di mia madre.
Scacciai quei pensieri tristi dalla mia mente quando mi accorsi di qualcosa di strano, e forse anche il poliziotto alla mia destra se ne accorse, in quanto aggrottò le sopracciglia in un'espressione dubbiosa.Avevamo varcato la soglia dell'enorme entrata, ma attorno a me c'erano soltanto uomini. Sbagliavo o sarei dovuta essere assegnata ad un carcere femminile?
«Ma dove diavolo sono?» esclamai a voce alta.
Il poliziotto mi guardò dubbioso. Evidentemente non ci stava capendo niente neanche lui.
«Scusi, potrei parlare con il commissario Skully?»
«Si, l'accompagno al telefono»
Detto ciò, mi accompagnò, e senza pensarci due volte, composi il numero di Skully.«Pronto?»
«Jodie, che é successo?»
«Skully, é successo che sono in un carcere maschile»
Dissi senza troppi complimenti.
«Maschile? Non é possibile.»
«Invece si, controlla nel database.»
«Aspetta un attimo.»Passò un breve silenzio.
«Qui non compare nessuna Jodie Cooper. Ma... aspetta. C'è un Jordie Cooper?»
«Jordie Cooper? E chi é?»
«Non saprei. Un momento...»
«Cosa Skully, cosa?»
Ero letteralmente frustrata da tutta quella storia.
«Quel deficiente di Ramirez ha sbagliato a scrivere il tuo nome. E di conseguenza il computer ti ha riconosciuta come un uomo»
«Oh santo cielo. E non può riscriverlo?»
«Mi dispiace, una volta inserito il nome, il database non é più modificabile.»
«Perfetto» dissi sarcastica.
«Mi dispiace Jodie.»
Sospirai. Non solo sarei dovuta stare in carcere, ma avrei dovuto condividere la mia vita come mille uomini in astinenza da un pezzo.
«Me la caverò. Ora ti lascio lavorare.»
In un modo o nell'altro me la sarei cavata. L'avevo sempre fatto.
«Verrò a trovarti Jodie»
«Va bene. A presto.»Rimisi la cornetta del telefono al suo posto e il poliziotto mi accompagnò nella mia cella.
«Cella n°613.»
«Cominciamo bene...» una cella con un "13" era proprio quello che ci voleva.
«Dovrò condividerla?»
«In realtà sì. Sta' attenta, tra tutti i detenuti, questo é davvero uno che preferisce l'isolamento. Nessuno sa che voce abbia. Non parla mai.»Aprì la cella con la chiave, e timidamente entrai, con passi esitanti e guardandomi attorno.
Pian piano una figura si faceva sempre più nitida alla mia vista. Dapprima una semplice sagoma, poi una figura dalle forme umane, e poi un uomo. Un ragazzo.
Mi aspettavo il solito grassone brutto e barbuto. Mi aspettavo il solito tatuato e con collane di borchie. Ero certa di trovarmi davanti il solito schifoso che mangiava a più non posso, che russava, e che mi avrebbe portato all'esasperazione.
Non fu nulla di tutto questo.
Il mio compagno di cella era tutt'altro.
Se ne stava tranquillamente nel letto di sotto a leggere un libro.
Non aveva assolutamente nulla a che fare con ciò che avevo immaginato in quel mezzo minuto.Era un ragazzo giovane, della mia età, abbastanza alto e robusto. Aveva una leggera barba sulle guance che andava ad infittirsi nelle zone prossime al mento. Castano, capelli corti, leggermente più lunghi sulla testa.
Nulla di tutto ciò che avevo immaginato che fosse. Nel profondo, in un certo senso fui quasi contenta di essere in un carcere maschile, fui quasi contenta che il mio nome fosse stato sbagliato.
Più che altro, non era neanche tanto brutto. No. Niente affatto. Era un bel ragazzo. Un bel ragazzo che leggeva un libro senza dare fastidio a nessuno.
Rimasi colpita dalla sua presenza, ma lo stesso non si poteva dire di lui. Non spostò un secondo soltanto il suo sguardo dal libro.La cella non era così piccola. A destra c'era un letto a castello. Immaginavo che quello di sopra fosse destinato a me.
Davanti, una finestra; a sinistra un tavolino con delle sedie, e, appesa, una televisione minuscola.
Non mi aspettavo di certo uno schermo HD di 50 pollici.
Nella parete di fondo a sinistra, era situata una porta, probabilmente del bagno. Anche se dubitavo che fosse lindo come quello di casa mia.Dopo aver dato un'occhiata intorno, presi dallo zaino i vestiti della notte, in quanto era ora di dormire, e buttai lo zaino sul letto superiore.
Entrai in bagno chiudendo la porta alle mie spalle.
Cercai di squadrare il minuscolo ambiente per ambientarmi meglio e, dopo ciò mi lavai, per quello che potei in quanto non c'era una doccia, e infilai una canottiera nera e un pantaloncino bianco.
Dopo di che, tirai fuori dalla tasca una foto che ritraeva me e la mia famiglia, risalente a quando avevo 14 anni, e iniziai a contemplarla.La fissavo con le lacrime agli occhi, ma non una cadde sul mio volto.
Ad un tratto, senza che potessi rendermene conto, mi ritrovai a fare qualcosa che non facevo da tantissimo tempo.
Pregai.
Pregai loro, perché ne avevo bisogno, allora più che mai.«Mamma, papà. Ovunque voi siate, datemi la forza. Datemi la forza di andare avanti e sopravvivere poichè non so come fare. Datemi quella forza e quel sostegno che ho sempre avuto la fortuna di avere da genitori magnifici e devoti come voi...» d'un tratto alzai il capo fino ad incontrare il mio riflesso allo specchio. Strinsi i pugni sul lavello, e cambiai tono, il quale divenne rabbioso, pieno di vendetta.
«E prometto che chi vi ha fatto questo, la pagherà. E la pagherà cara.»Dopo aver dato un ultimo sguardo allo specchio, uscii dal bagno e salii sul mio letto. Notai che il ragazzo era già girato su un fianco e dormiva.
Chiusi gli occhi, e mi abbandonai al sonno e ai pensieri più scoordinati.
Chissà se sarei sopravvissuta. Chissà se avrei resistito...
Chissà se quel ragazzo si era accorto di me. Che domande, non era mica cieco o sordo.
Chissà come si chiamava, e perché era così chiuso in se stesso. Forse anche lui si era messo alle spalle un passato difficile come il mio. Forse anche lui aveva subito una perdita.
Ero decisa a scoprirlo. Il perché non lo sapevo. A dire il vero non sapevo nemmeno perché fossi così interessata ad aiutarlo. Non lo conoscevo per niente. Eppure qualcosa mi diceva che avrei dovuto aiutarlo. Qualcosa nel profondo del mio cuore prevedeva ciò che sarebbe successo qualche tempo dopo.Non so come, ma quella notte gli incubi non mi tormentarono. Mi addormentai subito, e serenamente. Molto strano per una persona a cui era stata sottratta l'ultima cosa che le era rimasta: una libertá.
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You're not Alone • James Maslow
Fanfiction•Ispirato a 48 hours to live• Una giovane solitaria, rimasta orfana all'età di diciassette anni, di conseguenza sviluppa un carattere freddo, privo di emozioni, che la porterà ben presto a commettere un passo falso, motivo per cui finirá in prigione...