4. [NEW!] The judgment

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«No! Skully, non mi serve un avvocato!» mi opposi nettamente alla sua richiesta alzandomi violentemente dalla sedia e iniziando a camminare in tondo per la cella.
«Ma Jodie, ascoltami! Se c'è anche solo una minima possibilità di fartene uscire incensurata, io la troverò. E rassegnati perché le proverò tutte con o senza il tuo consenso» rispose con tono perentorio guardandomi da dietro i suoi grossi occhialoni da vista.
Portai entrambe le mani sui miei fianchi e scacciai i miei capelli con un rapido gesto del capo. Quei ricci cominciavano a darmi più noia di quanto pensassi.

«Steve, io ti ringrazio infinitamente, ma mi rifiuto. Non c'è niente che possa farmi evitare il carcere. Niente. Ho ucciso un uomo, non c'è nessuna giustificazione per questo»

Sentii lo strisciare delle gambe della sedia, e subito dopo dei passi farsi sempre più vicini.
Skully venne dietro di me.
«E invece io la troverò. Farò di tutto Jodie, è una promessa» sussurrò afferrandomi delicatamente le spalle.

* * *

I giorni erano trascorsi l'uno dopo l'altro con quel ritmo e quella freneticitá che da sempre caratterizzavano il tramontare e il sorgere del sole. E infatti, quasi senza che me ne fossi accorta, era arrivato il giorno decisivo.

Il 13 giugno si tenne la sentenza di condanna.

Tutto intorno a me pareva muoversi lentamente, i suoni del mondo esterno arrivavano al mio orecchio come se fossero stati ovattati. Soltanto uno ne riuscivo a percepire in tutta la sua energia. Il mio battito.
Il mio cuore martellava lentamente, con tonfi quasi decisi, nel mentre che il paesaggio al di fuori del finestrino scorreva via.
Una mano calda afferrò la mia in una stretta piena di speranza e di bontà.
Mi voltai alla mia sinistra incontrando lo sguardo spento dell'uomo che mi era sempre stato accanto nonostante tutto.
Nel voltarmi, i boccoli che erano sfuggiti all'acconciatura preparatami per l'occasione, andarono ad ondeggiare davanti il mio volto.

Portai lo sguardo verso la stretta di mano e sorrisi impercettibilmente.
Tutto trascorreva lento. Tutto pareva essersi fermato.

«Ci siamo» ci avvertì una voce maschile proveniente dai sedili anteriori, e quella voce apparteneva all'uomo in giacca e cravatta, con tanto di valigetta, che quel fatidico giorno avrebbe dovuto in qualche modo trovare una scappatoia per giustificare la mia azione.
Charles Cassidy. Egli era il migliore avvocato in circolazione, che aveva spillato a Skully fior fior di quattrini nonostante i miei continui tentativi di ribellione.
Egli sperava davvero che in un modo o nell'altro avesse potuto salvarmi, anche se, a dirla tutta, le mie speranze erano volate via insieme alla mia voglia di vivere nel giorno stesso in cui Skully mi aveva chiesto dove fossi stata quella malaugurata notte.
Percepii l'auto rallentare fino ad arrestarsi del tutto, finché anche il rombo del motore cessò definitivamente, facendomi ritornare alla realtà.

Non c'era nulla di più umiliante che percepire numerosi sguardi indiscreti e accusatori bruciarmi sulla pelle. Non c'era nulla di peggio che avere la consapevolezza di essere considerata un mostro del male, una creatura indegna di vivere. E forse, in fondo, avevano ragione loro.
E camminai a testa bassa lungo il pavimento a piastrelle quadrate, dai colori nettamente contrastanti giallo e rosso, tra le due file di banconi finché non raggiunsi il posto riservato a me.

Sul tavolo di fronte a me, era poggiata una caraffa d'acqua e tanti bicchieri quanti erano i posti. Aggiustai accuratamente la gonna del tailleur che mi era stato imposto di indossare, e mi sedetti sulla massiccia sedia in legno che mi era stata riservata. Riservata al colpevole, perché ormai ne ero sicura. Ne sarei uscita colpevole e con la fedina penale piú sporca di quanto non lo fosse già.

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora