22. A nice girl

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«La cintura»
Ritornai nella realtà, dopo minuti passati a fissare fuori dal finestrino, pensando a qualsiasi cosa mi facesse stemperare la rabbia, guardando un palazzo, un negozio, un altro palazzo, un altro negozio e... Wow! Un palazzo ed un negozio! Los Angeles, per quanto industrializzata e commercializzata potesse essere, restava pur sempre di una monotonia asfissiante.

«Che cosa?» domandai un po' acida.
Sospirò frustrato, come se gli desse fastidio ripetere le cose due volte.
Qui, quella frustrata e con due palle quanto due meloni, sono io!
Pensavo tra me e me...
«Ti ho detto di allacciare la cintura, altrimenti la polizia ci ferma, e siamo fottuti» spiegò con un sorriso di circostanza. Molto, ma molto fastidioso.
«James, stiamo andando a cinquanta all'ora, a che diavolo serve la cintura?»

Roteò gli occhi al cielo, mentre io mi voltai in avanti, verso una Citroën rosso fiammante. Subito dopo, sentii una frenata brusca, tanto che per poco non battei la testa sul cruscotto. Mi girai e notai James che se la rideva di gusto.

«Ma allora sei proprio bastardo eh?» sbraitai fulminandolo con lo sguardo, mentre lui ancora rideva.
«Si si, ridi. Fai lo spiritoso» dissi mentre allungavo la cintura e la inserivo nell'incastro apposito.

Se soltanto i nervi avessero potuto parlare, o se soltanto lo sguardo avesse potuto uccidere... Ma che bella cosa sarebbe stata!

L'auto rallentò, e dedussi che eravamo arrivati. Tolsi in fretta e in maniera maldestra la cintura di sicurezza, per poi uscire fuori dall'auto alla svelta, sbattendo lo sportello.

«Guarda che io sono qui» disse sarcastico, indicandosi. Già, doveva aver intuito che al posto del povero sportello maltrattato più e più volte, immaginavo la sua testa.
«Lo so, ma per evitare di prendere a schiaffi te, prendo a schiaffi lo sportello»
«Si, come no. Muoviamoci a prendere questi vestiti, e cerchiamoci una casa, per prima cosa»

Non risposi, ma continuai a camminare verso l'entrata di quel negozio di abbigliamento.
Salutammo la cassiera educatamente, o almeno, ci provammo, perché quella non era proprio giornata.
Certo, era cominciata bene, molto bene, ma, come inesorabilmente accade sempre, dopo l'apparente quiete c'è sempre la tempesta. E si, lo so, in quel caso i fulmini avevo iniziato a lanciarli io, ma non potevo farci nulla. Era il mio carattere, ero fatta così, sono sempre stata così. Non tolleravo che mi si nascondessero le cose. Non tolleravo di non venir considerata all'altezza di determinate situazioni. Penso che a tutti darebbe fastidio trovarsi in una situazione del genere, ma non credo che tutti reagirebbero picchiando pugni sul tavolo in un albergo e cominciando a ruggire e sbraitare peggio di un leone.

Subito ci dividemmo nei reparti femminile e maschile, mentre osservavo con invidia tutti i capi che non avrei potuto indossare, soltanto perché erano posti sotto il tabellone dalla scritta a caratteri cubitali "MEN".

Il mio interesse andò subito a posarsi sul reparto di biancheria intima, che era ciò che aveva più importanza. Cominciai a selezionare vari reggiseni e due scatole di slip. Feci per andarmene, quando mi accorsi di qualcosa che per poco non mi fece ridere a crepapelle in mezzo della gente.
«Ma davvero?» chiesi a me stessa osservando quel completino in pizzo posto in bella vista, rosso fiammante, e con un inevitabile perizoma al posto delle normali mutande.

Andiamo, chi comprerebbe mai della roba simile?
Oddio, non è che i completini da cubista erano poi tanto diversi, ma quelli dovevo indossarli per forza. Chi invece avrebbe avuto una mente così malata da comprarsene uno, per farci che cosa poi? Girare un video?

Mentre guardavo quel... coso, ecco che una ragazza mora, poco più alta di me, si fermò alla mia destra, contemplando con occhi sognanti quell'intimo.
Gente matta...

«Gli piacerà» disse.
Non capii a chi si stesse riferendo, né tantomeno se si stesse rivolgendo a me.
La guardai confusa, inarcando le sopracciglia.

«Fidati, gli piacerà vederti con questo»
Si, certo...
«Magari con questo ti farai perdonare»
Come faceva a sapere che avevo litigato?
La guardai scettica, mentre lei sorrideva soddisfatta. Era una medium o cosa?
«Questo risolverà tutto, avete litigato?»
«Si vede così tanto?» domandai sorridendo.
«Tesoro, anch'io quando litigo con mio marito ho la tua stessa faccia»
Risi insieme a lei, cominciava a farmi simpatia quella ragazza.

«Io mi chiamo Olivia»
«Jodie» risposi a mia volta, allungando il braccio vuoto verso di lei, stringendole la mano.
«Hai bisogno di aiuto? Io vengo spesso qui, conosco questo negozio come le mie tasche»
«In effetti sì, sto cercando un bel po' di vestiti: maglie, pantaloni...»

Olivia mi sorrise ampiamente, e mi fece cenno di seguirla. Notai un ampio tatuaggio che le copriva metà braccio.

«Qui troverai tutte le magliette che ti servono» spiegò indicando un vasto assortimento di t-shirt di ogni tipo.

«Grazie mille Olivia» ringraziai con un sorriso sincero il volto.

Andammo avanti così per tutto il negozio, e alla fine presi due paia di jeans, due paia di leggins, due canotte e quattro t-shirt. Come scarpe, andavano benissimo le mie Nike, e inoltre non avevamo abbastanza soldi da spendere, dal momento che c'era l'albergo da pagare.

«Quindi sei sposata?» chiesi dall'interno del camerino, intenta a provare una maglietta blu notte con pagliuzze bianche qua e là.
«Già» rispose da dietro la tenda «però, lui è molto più grande di me, e ha anche una figlia pressappoco della mia etá»
«Oh, beh, se vi amate l'età non conta niente»
«Si, lui mi ama e io anche, e per me sua figlia è come se fosse anche figlia mia. Sua moglie è morta molti anni fa di crepacuore, ed è stato solo per molto tempo» raccontò con una nota di tristezza nella voce.
«Come si chiama?» chiesi togliendo la maglia, e prendendo una canotta verde smeraldo, abbastanza larga e comoda.
«Kipling, si chiama Kipling, e sua figlia si chiama Emma»
Annuii, consapevole che non poteva vedermi.
«Lui invece come si chiama?» chiese a sua volta.
«James.»
«E, ti trovi bene con lui?»
«Si, molto. L'unica cosa negativa, è che siamo entrambi troppo orgogliosi e testardi»
«Capisco» rispose.
«Vivete qui?» continuò
«Si, credo di sí»
«Beh, allora, quando volete, passate al night club di mio marito»
«Avete un club?» chiesi mettendo la testa fuori dalla tenda blu che impediva la visuale alla gente.
«Si, Club M. È subito dopo la terza strada di Riverside. Si balla, si beve e ci si diverte»
«Ci vedremo lì allora»
«Porta anche James» continuò.
«È un po' difficile la cosa al momento, ma vedrò quello che posso fare»
«Guarda che ci conto»
«Non preoccuparti, verremo presto» la rassicurai uscendo dal camerino, e prendendo tutta la roba che avevo misurato.

Affondavo letteralmente in quella biancheria, e per questo Olivia si offrì di aiutarmi a portare tutta quella roba.

Arrivammo alla cassa entrambe, dove trovai James, intento a pagare, e quando mi vide, disse qualcosa al cassiere.
Faticosamente, buttammo il tutto sul bancone.
«Ah, nient'altro?» chiese sarcasticoJames.
Ma quanto è simpatico questo ragazzo?

Il buon umore di poco prima, era completamente svanito, e mi ritrovai nuovamente con i neuroni surriscaldati.
«Cristo James, taci» dissi seccata.
Olivia mi guardo alzando le sopracciglia, e sussurrò nel mio orecchio: «È lui?"»
Le lanciai un'occhiata disperata al che si mise a ridere, alternando lo sguardo tra me e lui.

«In totale, fanno 207 dollari e 85 centesimi»
James aprì il portafoglio e tirò fuori i soldi.
Ricevuto il resto, ci dividemmo le buste e lui si incamminò in auto.
«Allora grazie Olivia»
«Ma di nulla. Spero che di rivederti presto»
«Lo spero anch'io» risposi, e mi incamminai anch'io dirigendomi verso la Chevelle.

Avrei saputo che l'avrei rivista molto presto, e molto spesso, e non in circostanze gradevoli? No, non credo.

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora