8. Thank you

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Si aprirono le gabbie in cui ci tenevano rinchiusi. Era l'ora di cena.
La facevamo tutti insieme, al piano di sotto.
Smisi di guardare una gara di Formula 1 in televisione, e camminai verso la sala della mensa, seguita da James.
Fino a quel momento non c'era stato nulla se non quel mezzo dialogo di prima. Quella sera però, qualcosa tra noi due cambiò, e cambiò per sempre.

Quando scesi, afferrai subito un vassoio di plastica, e passai tra i vari servizienti che distribuivano il cibo. Quel carcere era tremendo! Avevo una fame incredibile.
Se c'era un lato che non riuscivo minimamente a tollerare di quel carcere, era che il cibo era scarso, e spesso neanche dal buon sapore. Ma cosa potevo pretendere. Era un carcere, mica un albergo...

Con il vassoio in mano, presi posto presso un tavolo vuoto, non ancora occupato da nessuno, e mi sedetti.
Non mi aspettavo certo che James si sedesse accanto a me.
No, ma stranamente quella sera prese posto nel mio tavolo, un posto più distante, però... Era già qualcosa...
Non spiaccicò parola, e tanto meno feci io. Se non gli andava di parlare, perché avrei dovuto attaccare discorso? Non volevo sembrare la solita scassa palle che non si stacca un attimo da dosso. E sinceramente non lo ero. Né lo sembravo, né lo ero.

Incominciai a mangiare, a strafogarmi più che altro, fissandolo, attenta però a non farmi beccare da lui.

Ma qualcuno, occupò i due posti proprio accanto ai miei, qualcuno che non mi ispirava particolare fiducia. Non ne sapevo il motivo, semplicemente lo intuivo e basta.
Io continuai a mangiare come se niente fosse, facendo finta di nulla, nella speranza che quel qualcuno se ne andasse alla svelta.

Ma per mia sfortuna, essi rimasero.
«Ehi, bellezza, come sei sciupata, dimmi, perché non mangi?»
L'uomo alla mia destra parlò, un tizio dai lineamenti indiani, con numerose cicatrici a segnargli il volto. A rendere ancora più inquietante la sua presenza, si aggiunsero i suoi lunghi capelli neri come la pece, e un ghigno maligno sul suo volto da delinquente.

Lo ignorai completamente, continuando a mangiare.
«Che c'è? Ti hanno tagliato la lingua? Perché non parli?»
Disse, mentre allungava una mano verso il mio volto. Io mi scansai di scatto, sospirando rumorosamente, per fargli capire che non apprezzavo affatto la sua presenza. Guardai James, ma rimasi alquanto delusa nello scoprire che non se ne infischiava minimamente di quello che stava succedendo.

L'altro tizio alla mia sinistra, un uomo dai capelli castani, e dagli occhi azzurri dallo sguardo di ghiaccio, si avvicinò al mio orecchio.
«Il mio amico ti ha fatto una domanda, perché non rispondi?»

Iniziavo a stancarmi di quell'oppressione, tuttavia mantenni la calma.

«Già, però non capisco cosa ci faccia una pupa come te in un postaccio del genere»
Disse l'indiano guardandosi intorno.
«Devi aver fatto qualcosa di brutto se ti hanno mandato qui. Hai rapinato? Rubato? Ucciso?»

Mentre stavo per afferrare il panino dal vassoio, l'uomo alla mia sinistra lo allontanò con la mano, impedendomi di prenderlo.

Lo guardai torva, e ciò che mi dava più fastidio era che James era tranquillo come non mai, e non prestava attenzione alla scena. Che personaggio. Forse aveva ragione il poliziotto nel dire che non era per niente un tipo a posto.

L'uomo dai capelli neri come la pece, si avvicinò al mio orecchio, procurandomi brividi di angoscia e di disgusto. Fu una sensazione terribile, di disagio.

Sussurrò nel mio orecchio: «Sai, qui non vediamo molto spesso delle donne. Anzi, non ne vediamo mai. E, quando questo succede...»
Sentii che sorrise.
«Sai che ho stuprato più di 20 donne? Purtroppo sono stato sbattuto dentro prima di arrivare a trenta ma, in realtà sono state così tante che neanche mi ricordo quando ho cominciato...»

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora