10. Evasion

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Passarono i giorni, e con essi, i ripetitivi tramonti portarono via le settimane, mentre noi ci impegnavano con prudenza, al fine di portare a termine il piano che ci avrebbe condotti verso la tanto bramata libertà.

Ogni giorno, furtivamente, ci dirigevamo nella galleria, e continuavamo a scavare, a perforare la roccia a forza di braccia e pale.
I ciottoli in eccesso venivano posizionati appena all'inizio della galleria, abbastanza grande da contenere una quantità elevata di massi sgretolati senza ostruire il passaggio.
Il risultato era una galleria di dimensioni minuscole, su misura per un uomo delle sue dimensioni

Dopo qualche settimana eravamo già a buon punto. Ci mancava pochissimo per riemergere in superficie.
Un giorno ci riuscimmo...

Riuscimmo a risalire in superficie e a finire quindi di scavare. Avevamo portato a termine il lavoro.
Uscimmo la testa dalla galleria, e ci guardammo contenti e felici come non mai.

«Ce l'abbiamo fatta!»

Eravamo eccitatissimi. L'emozione mi fuse completamente il cervello... Tanto che mi trovai a compiere un gesto che non mi sarebbe mai passato nell'anticamera del cervello.

Mi ritrovai a circondare il suo collo con le mie braccia.
In un primo momento sembrò rigido, ma dopo un po' ricambiò l'abbraccio stringendomi forte a lui.

Lo guardai negli occhi, e mi venne l'istinto assurdo di baciarlo.
Ma non credevo che sarebbe stata una buona idea.
Mi limitai a stampargli un bacio sulla guancia.

«Stasera evaderemo, quando le guardie saranno impegnate a mensa durante la cena...» disse contento e con gli occhi lucidi dall'emozione.

«D'accordo»

Detto questo, con un arbusto tappò la buca, e uscimmo dall'altra estremità.

Mettemmo rami e foglie varie anche sull'altra estremità e tornammo in cella.

Quella sera, successe tutto.
Finsi di non stare bene per non andare a mensa, ma James scese.
«Resta qui anche tu, così scenderemo insieme» gli avevo detto.
«No, sarebbe troppo ovvio. Tu rimani qui, così potrai fuggire anche se mi accadesse un imprevisto»

Prima di uscire, mi diede l'orario entro il quale avrei dovuto aspettarlo.
Ero spaventata più che mai. Se non fosse riuscito ad evadere? Era troppo pericoloso. Avrebbero potuto seguirlo e catturarlo.

«Alle dieci fatti trovare lí. Se non dovessi venire entro le dieci e un quarto, vai senza di me»
«No, io ti aspetterò»
«NO! Devi promettermi che andrai lo stesso. Primettimelo»

Non risposi. Non potevo promettergli una cosa del genere.

Si avvicinò a me, e mi alzò il viso.
«Promettimelo. Ora.»
Sussurrò in un tono misto tra il dolce e l'autoritario.
Mi costrinse a guardarlo negli occhi.
Mi sforzai di non piangere. Non davanti a lui.

«Promesso» sussurrai.
Lui mi sorrise, e mi salutò con un bacio in fronte.
Dopo di che, mi sorrise ed uscì.

Il poliziotto mi chiese perché non scendessi.
«Tu non scendi?»
«No, non mi sento molto bene...»

Lui entrò nella cella, e si sedette vicino a me sul letto.
«Che cos'hai? Ti porto in infermeria?»
«NO!»
Mi accorsi che avevo appena urlato. Lui aggrottò le sopracciglia.
«No, non ce n'è bisogno, grazie...»
Lui mi sorrise, e mi cinse le spalle con un braccio.

Volevo soltanto che se ne andasse. Non era gradita la sua presenza. Mi dava un senso di angoscia. Sebbene non fosse un brutto ragazzo, un senso di disagio mi opprimeva quando ero con lui.

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora