Ciò che mi ha dato la Luna

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Riuscii a procurarmi da mangiare per me e per il piccolo lupo rapendo piccoli animali domestici dai cortili o dalle fattorie che incontravo per strada.

Era una vita da ladra e da cacciatrice. La vita che, poteva anche darsi, avessi condotto da sempre prima di incontrare September. Non ricordavo molto di ciò che ero stata prima.

Trasformarsi poco prima del crepuscolo e carpire un vitello giovane, aprendogli la gola prima che potesse iniziare a urlare, era un giochetto divertente per me. Fare sparire il corpo era un po' più impegnativo, non bastava nasconderlo, bisognava finirlo in poco tempo oppure avrebbe attirato altri animali e posso assicurarvi che litigare con un ghiottone o con un mucchio di cani randagi per un pezzo di carne non è piacevole neppure per un licantropo.

Spesso però io e il piccolo lupo riuscivamo appena a fare a pezzi il quarto anteriore del vitello e ci furono alcuni giorni in cui non riuscimmo neppure a mangiare. Capii dunque che stavo uccidendo troppo senza che ce ne fosse bisogno e smisi.

Il cucciolo non aveva poi bisogno di tanto cibo: gli bastava qualche uccellino, anche se, e ne ero certa, lo stavo svezzando in anticipo; ma dopotutto non avevo latte da dargli, non potevo mica fare come si fa con tutti i cuccioli...

E più il tempo passava più noi due imparavamo a conoscerci meglio. Lui era un giocherellone, un piccolo guerriero con la curiosità di una scimmietta. Amava tutte le cose che rotolavano e spesso si metteva ad inseguire le farfalle e gli saltava incontro cercando di afferrarle con i dentini bianchi o piroettando su se stesso tentava di prendersi la coda. Altre volte iniziava a correre così, senza una ragione, con quel tratto caratteristico che contraddistingueva tutto il branco di Azrael, imprevedibile e rapido.

Quando era confuso da qualcosa, fosse un odore o un rumore, si sedeva di botto e il suo sederino peloso faceva il rumore di un peluche sbattuto per terra, poi inclinava velocemente la testolina prima a destra e poi a sinistra, muovendo le orecchie scoordinatamente finché non riusciva a capire che cosa aveva sentito oppure finché non perdeva interesse per quella cosa misteriosa.

Una volta si perse e io dovetti spogliarmi, legarmi addosso i vestiti, trasformarmi in lupa e cercarlo ululando per tutto il bosco finché non lo vidi curvo sul corpo di una piccola lepre selvatica. Come aveva fatto a ucciderla non lo sapevo, ma ne rimasi impressionata. Gli aveva aperto il cranio con i denti e ne aveva già mangiato il cervello. Ecco perché non mi rispondeva: quando mangiava, come molti altri lupi di mia conoscenza, non parlava mai. Non che sapesse parlare, ovviamente si esprimeva ancora come un cucciolo, con guaiti animali.

Ora se ne stava lì fermo a guaire mentre affondava il musetto nella carne, fra i ciuffi di pelo sporchi di sangue. Era tutto fiero di se e ogni tanto sollevava i suoi occhietti lucidi verso di me come per urlarmi "Guarda, sono come te, anch'io posso uccidere!".

Mi sentii indescrivibilmente fiera di lui. In quel preciso istante decisi di non tornare più umana. Essere lupi era troppo più bello.

Mi avvicinai al cucciolo e lo trovai davvero cresciuto. Sul suo musetto scuro si stava già disegnando la mascherina bianca degli adulti e la sua spalla arrivava quasi a metà del mio enorme fianco. Era il momento di dargli un nome, sapevo ormai che sarebbe sopravvissuto all'estate e poi anche all'inverno per lunghi anni.

Così lo osservai a lungo. Aveva un'aria matura per essere un cosino piccolo così, con le punte delle orecchiette tutte nere e le zampine salde da cui spuntavano piccole unghie scure e solide. Impertinente sollevò verso di me il musetto sporco di sangue e mi diede un colpetto, scodinzolando tutto fiero.

Lo leccai una volta sola, con tanta foga che lo sollevai da terra, poi mi accucciai accanto a lui.

Il suo corpicino caldo si strinse contro il mio e decisi come si sarebbe chiamato.

Morbido e caldo, grigio e rossastro, sporco... Cuscino. Il mio piccolo Cuscino peloso.

Il cucciolo aveva sedato i miei istinti più feroci persino più efficacemente di September. Era il regalo che la Luna mi aveva fatto, dopo avermi tolto tante cose a cui tenevo.

La mia vita adesso aveva un senso molto più grande. Finalmente avevo capito cosa significava vivere per qualcuno... o almeno queste erano le bugie che mi raccontavo quando sentivo il peso del destino e della solitudine incombere sulla mia testa come un cielo plumbeo.

Seppellii i miei vestiti e le scarpe sotto un albero, scavando con le unghie.

Uccisi ancora una volta e lavai con il sangue ogni traccia della mia umanità.

Ci spostavamo di notte, nel buio, andando di bosco in bosco, di campo in campo. Non ci fermavamo mai nel territorio di qualcun altro perché avrebbe significato fare del male ad un altro branco o rischiare che Cuscino venisse ucciso o rapito.

Di pomeriggio, sonnacchiosi, controllavamo di non avere zecche addosso, o meglio io controllavo entrambi; avevo imparato una tecnica efficace per "svitare" via i parassiti usando i denti, ma per fortuna non dovetti applicarla troppe volte, anche se il soffice pelo di Cuscino sembrava essere l'ideale per i parassiti che si nascondevano fra i cespugli.

A volte, quando eravamo annoiati, davamo la caccia a bersagli quasi imprendibili, come gli uccelli. I corvi, in particolare, sembravano divertirsi a fare quel gioco e saltellavano a debita distanza agitando il posteriore come per invitarci a balzare. Cuscino diventava ossessivo quando vedeva uno di quegli uccelli neri: iniziava ad abbaiare a tutto spiano, la coda si muoveva rapidamente e li inseguiva senza ritegno ruzzolando su quasi tutti gli ostacoli che incontrava sul suo cammino.

Un giorno un corvo si posò sulla mia spalla, mentre riposavo, e mi sussurrò in un orecchio parole in una lingua che non capivo; mi voltai di scatto cercando di afferrarlo con i denti, ma quello rise di me e volò via, appollaiandosi su un ramo insieme ad un uccello completamente identico a lui.

Appiattendo le orecchie, li scrutavo cercando di capire cosa volessero. Quei due sghignazzarono, poi partirono in volo e attraversarono lo spazio aereo sopra la mia testa.

Due nomi affiorarono alla mia mente, due nomi antichi, ma li persi subito dopo.

Scuotendo la testa, tornai a sonnecchiare finché Cuscino non mi ruzzolò contro il naso, mettendosi ad abbaiare a tutto spiano per farmi capire che aveva visto dei corvi.

Mangiavamo carne calda, bevevamo acqua pura, dormivamo sotto le stelle.

Traspiravo con la lingua e la mia pelliccia mi isolava dal caldo e dal freddo, potevo parlare con la posizione delle orecchie e della coda, avevo denti fatti per lacerare e piedi robusti con cui potevo camminare sulla nuda roccia, con artigli come chiodi per fare presa sui terreni sdrucciolevoli.

Il mio corpo era nudo all'aria, vestito solo del mio pelo, e il mio respiro era libero e felice.

Inoltre non dovevo lavarmi, che era un bel mucchio di doveri in meno.

Ora ero un lupo. Questo mi aveva dato la luna e questo avrei accettato, chinando la testa con gratitudine.


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