Un nuovo autocontrollo

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Era sdraiato per terra, il morbido corpo adagiato su una coperta grigia sporca. Accanto a lui c'era una donna, ma lei non mi interessava, per ora. Avrei ucciso anche lei, dopo, ma adesso non avevo occhi che per lui, per quel piccolo corpo morbido, il suo odore fragrante, potentemente dolce, tormentante.

I suoi capelli erano rossi, una peluria morbida come la pelliccia dei cuccioli, leggera, così leggera che la brezza li muoveva. Mi avvicinai a lui in punta di zampe, i cuscinetti emisero appena un fruscio setoso a contatto con la terra argillosa. Le zolle si rompevano fra i miei artigli, e le mie zampe posteriori, ogni tanto, scivolavano, eppure ebbi l'impressione di non fare alcun rumore, come se fossi davvero un fantasma, l'essenza di un morto.

E arrivai. Afferrai fra le zampe quel piccolo corpo caldo, annusai la carne, sentii il sangue pulsante nelle vene. Spalancai le fauci, pronta a lacerarlo con i denti, mentre le punte dei miei artigli premevano contro la sua schiena e i suoi fianchi morbidi.

L'uomo, quel giovane uomo, aprì gli occhi. Erano verdi, di un verde intenso, puro. E non c'era paura.

Mi bloccai.

Non c'era paura. No. Paura. Mancava il terrore.

Capii che ciò di cui mi nutrivo non era la morte, ma la paura. E non c'era niente da mangiare lì.

Ritrassi le zampe dal suo piccolo corpo, adagiandolo per terra. La mia mente si riconcentrò, tutte le propaggini di selvaggia incoscienza si ritirarono, e la mia tornò ad essere semplicemente la mente di un lupo. Sapevo che non sarebbe durato a lungo, ma mi godetti quel momento.

Non avevo saputo riconoscerlo a causa della mia ferinità, della mia follia, e del plenilunio... ma di fronte a me, adesso, se ne stava seduto September, con le gambe incrociate e gli occhi fissi nei miei

«Seduta!» ordinò.

Eseguii ciò che mi aveva chiesto. Lo sovrastavo, anche così, di quasi un metro.

Non potevo credere che avevo rischiato di mangiarlo. Se non avesse aperto gli occhi, gli avrei squarciato la gola, ma adesso mi ero arresa. Non avevo bisogno di essere un mostro, se potevo vedere il suo volto.

Avevano ragione: lui sapeva mantenermi al di qua della barricata della fame e della follia. Lui aveva un ascendente potente su di me, troppo potente. Non doveva più lasciarmi da sola. Mai più.

September tese una mano verso di me

«Alla fine sei venuta lo stesso» mormorò, poggiando le dita sulla mia gola «Non riesci proprio a stare lontana da me, eh? Dio, non credevo di essere così affascinante».

Mugolai e strofinai il muso contro il suo braccio. Volevo che mi accarezzasse dietro la testa. Lui capì e ridacchiando iniziò a passarmi le dita sulla nuca, mentre mi piegavo a quattro zampe, muso a terra.

All'improvviso vidi Sharazad che scattava a sedere, poi si alzava e mi si scagliava addosso. Riuscì a spostarmi di appena qualche centimetro prima che le afferrassi una gamba con una zampa sola e la scagliassi via.

Atterrò con un tonfo sordo, sollevando nuvolette di terreno che rimasero ad aleggiare basse per un paio di secondi prima di posarsi sul suo corpo, impolverandolo. Ringhiai, sollevando le labbra sui denti. Lei si risollevò in piedi con un po' di difficoltà, le tremavano le ginocchia, e le braccia rimanevano inerti lungo il corpo dopo aver dato la spinta iniziale.

«Non ti preoccupare, September» Sentenziò la sua voce potente e affascinante «Non le permetterò di farti del male»

«No, lei non vuole farmi del male» September si alzò in piedi e mi si mise davanti, a braccia aperte «Lasciala in pace, lei è venuta solo per...»

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