In cui si ammazza una nosferatu

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Apparve, sparì, in una nube di pulviscolo luminoso, e poi di nuovo nel buio.

I suoi occhi rossi come il sangue fresco, ricolmi di apparente giovinezza, si mostrarono nelle tenebre, circondati da una massa di capelli neri come il catrame, lisci, morbidi, fluenti, come buio liquido.

Il suo sorriso bianco emerse in una stiratura truce, un mostrarsi di denti appuntiti, assolutamente animali.

Per un istante il suo profilo affilato, quasi aquilino in quel mostrarsi fugace, rimase immobile, poi si dissolse. Era una donna, sicuramente una donna. Sarebbe probabilmente apparsa meravigliosa agli occhi di un uomo, ma per me era tanto repellente da farmi rizzare i peli sulle gambe. Non era neppure lontanamente umana, doveva essere stata viva solo centinaia di anni prima.

Era antica, terribilmente antica. Il suo potere era tuttavia, a dispetto della morte che la permeava, ancora pulsante, vivido, terribile.

Un'anima quasi assente, ma ancora palpabile...

Un'anima immortale.

Immortale? Beh, forse quel poco che rimaneva della sua anima corrotta e decaduta, ma non il corpo, non l'involucro. Un corpo morto non avrebbe dovuto preoccuparmi.

Ma dov'era September? Il suo odore non c'era, o perlomeno era coperto dal tanfo mortifero della decomposizione e dal ben più forte odore del tufo umido.

«Chi sei?» Chiesi, a voce alta. Scoprii che le parole assumevano toni vibranti come ringhi e che il loro suono, riverberante nell'oscurità, era quello di un rintocco di campana.

E questo mi diede coraggio, perché mi fece ricordare quello che ero davvero. Non avevo alcun motivo di temere, io sono il mostro, io rimarrò il mostro, e la mia forza non può essere fermata da un cadavere. L'unica cosa che mi lasciava un po' titubante era il pensiero del destino del mio migliore amico, che non vedevo né sentivo, ma che sapevo essere lì da qualche parte, buttato in un angolo, in attesa della morte che gli sarebbe potuta pervenire per mezzo di canini bianchi conficcati nella sua giugulare.

Il pensiero mi fece rabbrividire, non volevo che il sangue di September diventasse parte di un mostro.

La vampira rispuntò dalle tenebre. Era come la comparsa di un angelo dell'apocalisse, si sentiva la sua forza nell'aria, ed era lì, che urlava "Io sono la morte!".

La sua cappa nera ricadeva perfetta intorno a un corpo snello, le mani pallide erano abbandonate lungo i fianchi, e le dita affusolate, dalle unghie diafane e appuntite, non sembravano affatto in grado di nuocere mentre erano in quello stato di riposo. Era perfettamente immobile, ed intorno a lei splendeva un alone curiosamente rossiccio, come gocce di sangue dal cui interno proveniva luce.

Mi chiesi come fosse possibile, poi una vocina nella mia testa mi fece notare che poteva essere magia. Dopotutto, secondo September la magia esisteva davvero, e come potevo non credergli dopo aver visto, dopo aver provato quello che era in grado di fare? Accettai l'idea che la vampira fosse anche una maga, e che sapesse creare luce, per quanto quest'affermazione potrebbe suonare contraddicente alla natura stessa di un figlio delle tenebre.

«Cosa fai nel mio regno, creatura mortale?» Mi domandò lei, con evidente curiosità.

Non c'era disprezzo nel suo tono, era una carezza, dolce, e mi spingeva a rispondere. Mi opposi alla docilità che mi stava anestetizzando lentamente, opposi ad essa la mia parte più bestiale, e riuscii a rispondere senza toni melliflui e gentili, come invece probabilmente lei desiderava

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