Due mostri non possono scontrarsi senza conseguenze terribili per entrambi

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Un urlo. Proprio in quell'istante, con mio enorme disappunto, un urlo di paura riecheggiò per la campagna, come amplificato, mettendo in agitazione gli ospiti e me. Mi drizzai immediatamente, alla ricerca del pericolo, ed annusai nell'aria una serie di nuovi effluvi forti e nuovi, qualcosa che non avevo mai sentito prima di adesso.

E il mio nemico si palesò sottoforma di una creatura alta persino più di me, di sembianze umane, ma pallida come se la sua pelle fosse di alabastro. Il suo collo era tarchiato e taurino, ma il resto della sua fisionomia era allungato, dimagrito, spaventoso, e non si poteva neppure pensare che le gambe, due stecchi lunghissimi e torti racchiusi in pantaloni neri di una sostanza simile alla plastica dei sacchi della spazzatura, potessero reggere il peso di tutte le membra.

Ma lui, anche se si trattava di un individuo incredibilmente pericoloso, non era diu certo abbastanza spaventoso da seminare il panico da solo. Ai suoi lati c'erano due uomini in giacca e cravatta, con le teste fasciate di nero da cui spuntavano soltanto i riflessi delle lenti di occhiali da sole. I due avevano sguainato quattro pistole, un paio per ciascuno, e le puntavano in mezzo a noi.

Mi accorsi che l'urlo doveva aver coperto il rumore di uno sparo, perché a terra, che si contorceva rantolando in una pozza di sangue, c'era uno degli invitati.

Non esitai a lanciarmi contro il mostro. Quello sollevò lo sguardo verso di me e per un istante i nostri occhi si incrociarono. I suoi erano rossi, di un colore molto simile a quello delle foglie d'acero, solo più smorto ai bordi lattei.

Poi ci scontrammo. Io lo atterrai e gli infilai le dita in un occhio, il quale cedette e divenne una specie di poltiglia umida dal lezzo oleoso e putrescente.

Lui si limitò a guardarmi con la pupilla rimasta, indifferente, e mi afferrò i polsi. Era forte, più di quanto avessi immaginato, perché riuscì ad alzarsi ed alzare anche me. Allibita, persi tempo a studiarlo.

Lui mi lanciò contro la parete, con una potenza che aveva dell'incredibile. Sentii la spina dorsale scricchiolare, scrac!, quando incontrai la casa. Scivolai a terra, stringendo i denti. Niente sangue, niente di rotto. Intorno a me, facce stupite. Ma si, in fondo quante donne possono sopravvivere dopo essere state sbattute contro una parete di cemento e mattoni? Io. Io non ero una donna, ero un mostro.

E la nuova futura padrona del mondo. Mi rialzai ringhiando.

Il vampiro geneticamente modificato, o qualunque cosa fosse, avanzò verso di me. I suoi passi erano lenti e lunghi, i suoi piedi erano calzati da stivaletti neri con il tacco forse un po' troppo alto. Era un abbigliamento orribile, lo faceva sembrare ancora più sbilanciato in avanti, più magro, più ambiguo, eppure gli dava anche un che di orribile. Sembrava uscito da un incubo, con i capelli color carbone tirati indietro sulla testa, lunghi fin oltre le spalle, liscissimi. Mi guardava, con un occhio solo, e sogghignava.

Mi rialzai, mordendomi il labbro inferiore ancora più forte. Poi leccai il sangue che si era formato sul piccolo taglio e la pelle si rimarginò immediatamente.

Bene. Ero ancora invincibile.

Avremmo visto chi la avrebbe avuto vinta.

Avremmo visto chi era l'immortale, fra noi due. Non lui. Lui era già morto. Sollevai le labbra in un ringhio minaccioso, pur sapendo che lui non ne avrebbe avuto paura, perché era solo un oggetto. Tutta scena a beneficio di chi guardava, considerato che fra di loro c'erano due uomini armati. Le pistole erano una di quelle cose capaci di sferrare attacchi abbastanza rapidi da ferirmi. Dovevo stare attenta con loro due.

Con la coda dell'occhio vidi il dottore Staretti che si infilava una mano lentamente sotto la giacca grigia. Anche lui, sicuramente, aveva una pistola, ma non doveva sparare.

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