Il sangue dei licantropi

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September seguì me e Paul Hersen fuori. Non era spaventato, lui era coraggioso, ma nel suo sguardo c'era una delusa perplessità. La notte stava calando, il Sole scompariva all'orizzonte tingendo tutta la cittadina di rosso, quel carminio intenso, luminoso, per nulla sanguigno o ferreo, come una coltre di nebbia infuocata.

Paul Hersen marciava in testa al gruppo, rapidamente.

Era veloce per essere così grosso e il suo passo era regolare, anche se pesante.

Io presi sottobraccio September

«Non preoccuparti» gli dissi, sforzandomi di non accarezzarlo di continuo come un bambino per evitare di offendere la sua dignità di adulto.

Lui mi guardò negli occhi. I suoi erano lucidi

«Fra poco...» mormorò, con uno strano tono «Fra pochissimo mi capiterà qualcosa».

Paul Hersen fischiò, come per richiamarci

«Per questo stiamo uscendo dalla città» esclamò.

Io strinsi i denti. Sentii sotto le mie dita la pelle del collo di September che cambiava consistenza e diveniva viscida di sudore. I pochi peli corti e chiari iniziarono ad allungarsi.

Paul Hersen non si fermò. Continuammo a uscire dal paese, diretti verso la piccola pineta dietro di esso.

E più camminavamo più September lentamente si curvava, ansimava, i suoi occhi si facevano sempre più vacui come se la vita in essi si spegnesse, più vitrei, come se divenisse cieco.

Tremava, tremava ma non voleva mostrare la propria debolezza.

Invano cercai l'aiuto di Paul Hersen, invano lo chiamai avvertendolo che September stava male: l'unica cosa che vedevo era la sua grossa schiena muscolosa coperta dal giubbino che avanzava sulla spinta sostenuta delle gambe.

Non potei neppure aggredire quel grosso uomo inutile per farlo a pezzi perché ero troppo preoccupata per la salute di September. Adesso barcollava. Ma non si fermava, seguiva i passi di Paul Hersen con caparbietà. Lo ammirai per questo, ma mi dissi anche che dovevo trovare un modo per aiutarlo.

September si aggrappò a me mentre proseguiva, le dita contratte spasmodicamente.

Il dolore che lo aggrediva era ormai palese e stava facendo di tutto per non cedervi, ma era sull'orlo di un precipizio. Gli gridai che tutto sarebbe andato bene, che lo avrei protetto, gli gridai di lasciarsi andare, ma lui continuò a trattenere la bestia che era in lui.

Sapevo che più l'avrebbe trattenuta più dolore avrebbe provato, ma sapevo anche che era dura per lui sapere che il suo corpo sarebbe mutato ancora, anche se solo per il tempo breve di una notte.

Dovevo farlo smettere. Ero arrabbiata con lui, con il suo futile tentativo di rimanere umano.

Sapevo che me ne sarei pentita, sapevo che mi sarei odiata per questo, ma lo colpii. Sollevai un braccio e gli diedi un colpo sulla schiena, facendolo rotolare per terra.

Lui alzò gli occhi verso di me e non disse nulla. Solo che quegli occhi verdi erano imploranti e lucidi.

Io gli ringhiai di gola, ma anche se mi sforzavo di sembrare malvagia probabilmente dovevo avere l'aspetto tipico dell'orso furioso perché ha la spina nella zampona.

September continuava a fissarmi triste finché non iniziò ad urlare.

Io mi allontanai di qualche passo, incespicando all'indietro nell'erba e lo osservai. Dovetti riconoscere che ero curiosa di vedere cosa succedeva quando un licantropo si trasformava, perché io non lo avevo mai fatto di fronte ad uno specchio, ed anche se lo avessi fatto, quasi certamente non lo avrei ricordato.

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