Un dottore immaginario?

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Prima che potessi muovermi di nuovo all'indietro per balzare alla gola di uno dei due manichini perfettini, vidi con la coda dell'occhio un'ombra grigia scura che si avvicinava a grande velocità. Qualcosa mi afferrò per la collottola e mi sollevò da terra di qualche centimetro le zampe anteriori, poi mi posò di lato e si chinò sul corpo adagiato di Sebastian Barren.

Ci misi un istante a capire che lui, chiunque fosse, non aveva intenzioni bellicose. Le sue mani si muovevano velocissime sul collo di Barren, utilizzando qualcosa che chiudeva la ferita. Era rapidissimo, e non solo. C'era anche una precisione estrema nei suoi movimenti, qualcosa che non avevo mai visto. Non avrei mai creduto che si potesse lavorare su un corpo umano in quel modo.

Passato il momento di analisi delle intenzioni, passai al momento di analisi dell'aspetto di quell'essere. Almeno per accertarmi che fosse umano. Era di taglia normale, per un uomo. Aveva le spalle abbastanza robuste e il dorso sembrava saldo, ma non riuscivo a capirlo perfettamente, perché ndossava un cappotto sformato, largo, grigio scuro, con le toppe ai gomiti. Gli sgonfiava da tutte le parti e credo avesse anche le maniche troppo larghe. Probabilmente era cucito in casa. Mi chiesi come mai un essere con quelle abilità dovesse cucirsi i vestiti in casa e come mai, fra l'altro, gli venissero così male. Magari li trascurava.

Optai per quest'ultima possibilità, visto che era quella che più si avvicinava al mio modello comportamentale.

I suoi capelli erano abbastanza corti, pettinati sommariamente all'indietro, come avrei voluto portarli io. Da cattivo, insomma, ma non davano quell'impressione. Sembrava, almeno a vederlo da questa prospettiva, il buono della storia. In realtà non me ne intendevo molto di buoni e cattivi, non nel senso della morale, dell'etica e di tutte quelle belle cose di cui parlano gli eroi. Distingueremo dunque in: cattivo chi voleva farmi del male e buono chi mi aiutava.

Un concetto primitivo, lo ammetto, ma è più o meno quello che bisogna fare per sopravvivere. O no? Con il naso sfiorai la spalla dell'uomo, il tessuto ruvido del suo cappotto. Lui non mi guardò neppure. Ammirai la passione con cui si stava dedicando a quel rapido lavoro, ma disprezzai la sua disattenzione che, se avessi avuto intenzione di ucciderlo, gli sarebbe costata la vita.

Dopo qualche istante, l'uomo si voltò verso di me. Aveva un volto insieme stanco e gentile, con qualche ruga sotto gli occhi, che erano di un colore verdino chiarissimo, quasi giallo. Mi sorrise

«Vai via» mi disse, in tono calmo.

Non ero sicura di avere capito e rimasi a fissarlo. Non c'era molta paura in lui, appena un po' di timore verso di me.

Lui socchiuse le palpebre

«Ti ho detto di allontanarti» ripeté, con insistente gentilezza «Forza, ci penso io a tutto, qui. Torna dopo».

Non mi mossi ancora.

Lui mi indicò le scale con un dito sporco di sangue

«Non farti vedere, lupacchiotta. Penserò io a tutto» il suo sguardo guizzò verso i gemelli, con una qual certa inquietudine «Prima che decidano di farti fuori».

Allora capii e indietreggiai. Poi feci dietrofront e mi allontanai. Sarebbe stato difficile non farmi notare. Ma perché quell'uomo mi stava aiutando? Io non lo conoscevo. Forse. Dove lo avevo già visto? Ecco, io non lo avevo già visto. Molto semplice. Recuperai i miei vestiti con la bocca e me li trascinai dietro l'arco. Mi ritrasformai nella mia forma umana, con un po' di difficoltà. Era brutto, ritrasformarsi in umani. Mi rivestii. Il completo era un po' stropicciato, ma tutto sommato non sembrava niente di che... al massimo avrebbero pensato che fossi stata coinvolta in una rissa. Magari contro gli sgherri di quel bel conte affascinante con cui avevo ballato prima. Mi asciugai le ultime gocce di sangue dalle labbra con le dita.

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