Un inganno riuscito

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Sentii una mano sfiorarmi la spalla. September, pensai immediatamente, doveva senza dubbio essere impazzito per farsi vedere in giro così. Lo guardai male, ma lui sollevò il pollice in segno di vittoria e poi indietreggiò tanto fulmineamente da sembrare che fosse scomparso.

Angela non si accorse di nulla, come se avesse il paraocchi. O, molto più semplicemente, come se non avesse occhi per nessun altro che non fossi io.

E questo era forse un male? No, era la mia missione, ma non riuscivo a staccarmi di dosso una nuova sensazione di disgusto che ero riuscita a provare soltanto in compagnia di Mr. Mell. Ovviamente sapevo che cos'era a causarla: un comportamento innaturale ed errato, qualcosa che forzava la mia natura.

Insomma, piacevo ad una donna, ed in una maniera che mi sembrava qualcosina di più dell'amicizia: lo sentivo nel suo odore. E a me le donne non piacevano affatto, la sola idea di baciarne una mi disgustava.

Oh, mi stava appiccicata addosso, con le sue mani che mi stringevano il braccio in cerca di protezione, ma quello che era terribile è piuttosto il suo sguardo, così... oh, così... non lo dimenticherò mai, era pieno di una serie di pagliuzze brillanti, e brillava, brillava, lucido di un velo sottilissimo di lacrime, ed era dolce, premuroso, ammirato, tutto quello che di buono e bello poteva esserci eccetto quella morbosità che trovavo quasi perversa.

Poi, all'improvviso, sentii un paio di mani che mi afferravano alle spalle. Sul momento credetti che fosse September, ma poi la stretta si serrò forte e sentii che le dita erano troppo lunghe e magre per essere quelle di una mano il cui tocco mi era così familiare.

Feci per voltarmi quando sentii qualcosa balzarmi sulla schiena così bruscamente da costringermi a piegarmi.

Angela strillò impaurita nell'esatto momento in cui due mani si serrarono sulla mia gola.

Sentii quelle dita magre, le stesse che prima avevano fatto indelicatamente leva sulle mie spalle per permettere al loro proprietario di salirmi a cavallo con un salto, premere contro la tiroide così forte che pensai che la cartilagine stesse per schizzarmi via dalla parte posteriore del collo.

Allungai le mani sopra di me e afferrai il bastardo colpevole, poi lo strattonai e lo feci cadere. Lui, penzolante di lato al mio corpo, non mollò né allentò la presa per un solo istante. Era uno dei gemelli. La sua faccia era sempre la stessa, non un solo lineamento alterato, non un solo sobbalzo delle sopracciglia, era gelido, immobile, robotico.

Ma era vivo? Sembrava più morto di Vlad, sotto un certo punto di vista, ma sotto un altro era terribilmente, incredibilmente, vitale e vigoroso. Le sue dita, per esempio, erano una specie di morsa d'acciaio per comprimere le macchine e per quanto le mie vi si avvinghiassero, non riuscivano a smuoverle.

Iniziavo a non respirare e mi si annebbiava il cervello. Fra l'altro faceva male, davvero male.

Con ancora qualche sprazzo di lucidità, portai la mano alla cintura ed estrassi la pistola che avevo sottratto a uno dei gemelli, poi la puntai alla tempia dell'uomo. Probabilmente tutto questo mi avrebbe condotta all'ennesimo omicidio, ma cercai di essere ragionevole e diedi una possibilità al mio stupido aggressore.

Cercai di dire "Lasciami o sparo", ma la mia voce emise un curioso verso strozzato.

Tuttavia l'uomo doveva saper leggere il labiale, perché la sua stretta si allentò all'improvviso e le sue mani si staccarono con riluttanza dalla mia pelle. Ero abbastanza sicura che mi sarebbero venuti su dei lividi dopo questa esperienza.

Angela mi afferrò di nuovo il braccio, dopo averlo lasciato per neanche un minuto

«Tutto bene?» domandò, premurosa

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