Incontro col mandante

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Era una mattina. Poteva essere una mattina qualunque di un qualunque giorno.

Mi alzai lentamente e mi stiracchiai. Non c'era traccia di torpore nel mio corpo. Annusai l'aria. L'odore di città era ancora orribile, ma perlomeno era diventato sopportabile. Ero in periferia, in estrema periferia. Praticamente ero scappata in campagna. Mi ero allontanata dalla sede del club, desiderosa di lasciarmi alle spalle la città.

I ratti avevano detto che, ovunque avevano portato il mio cucciolo, non poteva essere verso il centro della città. Nessuno porta un lupo, nemmeno un piccolo, al centro di una città, tranne che per portarlo allo zoo. E non c'era uno zoo dentro questa città...

Ma io conoscevo i rapitori e sapevo che non erano uomini e donne tali da decidere di portare allo zoo pubblico un animale che gli sarebbe potuto fruttare un bel sacco di soldini sonanti. Quindi dovevano aver portato il cucciolo da qualche riccone appassionato di animali selvatici che fosse disposto a sganciare una bella somma. Anch'io ero stata destinata a quella fine, ovviamente, ma ero scappata prima e avevo ucciso uno di loro. Era stata una gran bella soddisfazione e ogni volta che ci ripensavo mi sentivo ribollire sulla lingua il sapore del sangue di quell'uomo brutto e inutile.

Udii uno squittio. Sorrisi e guardai in basso. Il grosso ratto era di lato a me, immobile come una statua grigia, il pelo unto pettinato all'indietro come i capelli di un damerino. Aveva gli incisivi leggermente sporgenti, forse anche perché teneva il labbro superiore arricciato

«Ciao, Città» lo salutai, cercando di essere insieme cortese ed ironica.

Lui mosse il naso, come se percepisse una forte traccia olfattiva, poi si pulì la testa fra le zampe come fanno le mosche o i criceti, infine mi rispose senza guardarmi

«Ciao, donna lupo gigante. Forse abbiamo trovato il tuo cucciolo».

Il mio cuore iniziò a battere così forte che me lo sentii in gola, come se mi fossi spaventata. O Madre Terra, forse mi ero davvero spaventata! Come avevano fatto a trovarlo così in fretta?

«Noi siamo la città» Mi disse il ratto, come se mi avesse letto nel pensiero. Stavolta si voltò verso di me e fece quella specie di sorriso strano. In mezzo ai denti gli si vedevano pezzi di carne putrida, residui del suo ultimo pasto.

Io, incredibilmente, o forse con prevedibilità, dipende tutto dal punto di vista, risposi al sorriso.

Credo che se un umano qualsiasi avesse visto me sorridere ad un ratto in quel modo, mi avrebbe preso per pazza. E poi, se me lo avesse detto ad alta voce, io lo avrei ucciso e lo avrei dato in pasto ai roditori grigi.

«Dove?» Chiesi, sibilando.

Lui mi indicò con il muso un punto lontano, si pulì con le zampette la bocca, mangiando i pochi brandelli di carne che aveva tra i denti, e poi iniziò a correre. Io lo seguii. Era rapido per essere così piccolo, ed io ero un grosso essere umano pesante, ma ce la misi comunque tutta per non perderlo di vista. Avrei potuto trasformarmi in lupo, ma questo significava perdere di nuovo i vestiti. Perdere di nuovo i vestiti significava non potersi più trasformare in umano senza dare nell'occhio. Non potersi più trasformare in essere umano significava addio copertura per me e per Cuscino che avremmo sicuramente cercato di scappare da quel postaccio.

E corremmo. Corremmo. Corremmo.

Corremmo come se un autotreno ci stesse inseguendo. Sentivo la terra che colpiva i miei talloni e il rumore che faceva la mia pelle indurita battendo violentemente, poi la sensazione che pioli d'energia si conficcassero dai miei piedi fin dentro le caviglie. Non era una brutta sensazione, era quasi energizzante, mi galvanizzava, mi esaltava.

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