September che parla a ruota libera

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Oh. L'avevo trovata un'ottima storia, soprattutto nella parte finale, quando finalmente la lurida succhiasangue moriva per mano del prete guerriero con gli occhi verdi. Scommetto che, se non fosse stato un religioso, io e mr. Clericale guerriero saremmo andati d'accordo. Peccato che doveva essere tutta una leggenda, anche se i nomi citati non mi erano del tutto nuovi. Dovevo averli già sentiti, probabilmente in uno di quei cartoni animati giapponesi che si guardava il mio amichetto Set quando non aveva niente da fare, in tarda serata.

Strusciai il muso contro la gamba di September e lui mi diede una pacca sulla testa, amichevolmente. Non mi ero accorta del passare del tempo, quella storia era durata parecchio, ma mi ci ero immersa così tanto che non avevo visto il sole muoversi nel cielo a segnare come un orologio i secondi, i minuti che erano passati. Un'ora... no, più di un'ora. Bel lavoro di narrazione.

Mi leccai le labbra, scuotendomi la pelliccia. Le zampe non risentivano affatto di quel tempo a camminare. Dopotutto sono un lupo.

September ridacchiò

«Ne deduco che la storia ti sia piaciuta» mormorò.

Io annuii. La mia mente era ancora parzialmente immersa nel fuoco. Il volto del giovane straziato dal dolore era vivo e presente nella mia testa. Avrei voluto domandare a September "ma davvero quand'eri piccolo ti raccontavano queste storie?". Era un po' difficile credere che a un bambino fosse stata narrata una cosa del genere, soprattutto se il bambino in questione era umano. Il sangue e la violenza sovrannaturale non fanno per loro. Mi leccai di nuovo le labbra, sentendo i piccoli peli ruvidi sotto la lingua, contrapposti alla liscia consistenza gommosa delle labbra già umide.

Cuscino guaì sommessamente

«Dov'è che stiamo andando?»

«Sai che non ne ho idea» ribattei, con pazienza, dandogli un colpetto con il muso contro il mento «Camminiamo, come abbiamo già fatto quand'eri piccolo, ti ricordi?»

«Un po'» mi rispose, sovrappensiero «Ma non tantissimo»

«Si, eri appena un fagottino» mi leccai di nuovo le labbra.

Stavamo entrando in una distesa di erbe alte, costellata di cardo mariano e con qualche raro macchione di rovi. Le spine si attorcigliavano in maniera pittoresca e dietro le formazioni vegetali si estendeva un mandorleto. Il cielo era azzurrino, velato di grigi diversi e densi, la luce del sole picchiava chiara, quasi bianca, sulle nostre teste. September accelerò il passo come se avesse visto qualcosa. Mi tesi, le zampe si irrigidirono da sole, la coda sollevata, le orecchie ritte. Cercai di carpire un qualche tipo di odore particolare, inspirai a fondo, percepii Cuscino che faceva la stessa cosa accanto a me.

La terra si sgretolava sotto i miei cuscinetti, il suo profumo non era fertile, era sabbioso, ma bagnato, come il mare. Non mi sarei sorpresa di veder saltare fuori qualche conchiglia o pesce fossile.

September non rallentava. Andava di fretta, leggevo la determinazione nei suoi occhi. Puntava verso i rovi. Strisciai dietro di lui, inarcando a tratti il dorso per abbassare la testa, per toccare quasi il terreno con la pancia. Cuscino ripeté goffamente la mossa, rumoroso come un grosso cane.

Le mie unghie ticchettarono contro una massa di roccia calcarea. La scavalcai con disappunto.

Poi vidi qualcosa muoversi rapidamente al livello del terreno, un corpicino castano chiaro, striato di panna e nero. September cercò di acchiapparlo, ma goffo com'era non ottenne altro che sfiorare l'erba con le dita e inciampare per cadere su un ginocchio con uno sbuffo gemente.

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