Capitolo 44

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Grandi palazzi e villette graziose costeggiavano il grande viale reso buio dalle ombre della notte, Rafael sospirò mentre marciava verso il palazzo dove Emile aveva preso l’appartamento, sospirando di tanto in tanto: «Andrà tutto bene» mormorò Sarah, intrecciando le dita con le sue e sorridendo dolcemente, fermandosi e costringendo il ragazzo a fare altrettanto: la bionda allungò la mano libera, carezzandogli la guancia e costringendo a guardarla negli occhi: «Kang non ha detto niente di pericoli, giusto?»
«Da quel che ho capito di quel tipo, è che ama essere criptico e un passo avanti agli altri» bofonchiò Rafael, voltando il viso e baciandole il palmo, alzando poi la testa verso la schiera di terrazzine che si affacciavano sulla strada: «Voglio solo che sia al sicuro.»
«E lo sarà» decretò Sarah, facendogli riportare l’attenzione su di lei: «Tu lo proteggerai e anch’io, senza contare tutti i nostri amici.»
Il moro annuì, voltandosi poi verso il palazzo e percorrendo velocemente la distanza che lo separava dal portone: con l’indice percorse la lunga fila di campanelli, finché non trovò il nome del padre e suonò, sotto lo sguardo attento di Sarah: «Per una volta facciamo le cose a modo» bofonchiò, allontanandosi di un passo e rimanendo in attesa, mentre si infilava le mani nelle tasche del cappotto.
«Sì?» la voce gracchiante di Emile giunse dall’interfono, facendo sorridere il ragazzo: «Rafael, sei tu?»
«Sì, papà» mormorò il ragazzo, regalando un sorriso alla bionda con lui: «Non mi sono portato le chiavi di casa tua dietro e…» il rumore dell’apertura automatica arrivò alle orecchie dei due; Rafael si avvicinò, aprendo la pesante porta a vetri e lasciando entrare Sarah all’interno, seguendola e accompagnando la chiusura dell’uscio del condominio, mentre la bionda si avvicinava alle scale e iniziava a salire i primi scalini, diretta verso il piano in cui vi era l’appartamento del professore Fabre.
Raggiunsero velocemente il secondo piano e Rafael sorrise, vedendo il padre in attesa sulla soglia di casa con un sorriso sereno in volto: «Rafael! Sarah!» esclamò, allargando le braccia con fare amorevole e facendosi poi da parte, permettendo a entrambi di entrare nell’appartamento completamente in disordine come l’ultima volta: «Perdonate, stavo lavorando a un progetto…»
«Lo vedo» commentò il ragazzo, scuotendo il capo di fronte a tanto caos: «E’ per l’università o un tuo progetto personale?»
«Una cosetta su cui stavo lavorando da un po’» decretò Emile, guardandosi attorno alla ricerca degli occhiali da vista, sorrise quando li trovò abbandonati sul tavolo e li inforcò, avvicinandosi a Sarah e posandole entrambe le mani sulle spalle: «Sei qui per le mie ricerche, vero?»
«S-sì» balbettò la ragazza, scambiandosi una fugace occhiata con il giovane al suo fianco e poi ricambiando stentatamente il sorriso dell’uomo: «Aveva detto che mi avrebbe prestato…»
«E’ tutto lì» dichiarò Emile, indicando una pila sostanziosa di fogli e cartelle: «Tutto ciò che riguarda i sette animali e che ho raccolto in questi ultimi anni» continuò l’uomo, posandosi le mani sui fianchi: «Io…io…» 
«Papà?»
Rafael avanzò verso il padre, osservandolo mentre si toglieva gli occhiali e scuoteva la testa, quasi come a scacciare qualcosa: Emile rialzò lo sguardo, fissandosi attorno come se non riconoscesse il luogo in cui si trovava e avanzò di un passo, traballando e quasi crollando in avanti, se non fosse stato per il tempestivo intervento del figlio: «Papà, cosa…»
«Porta via tutto, Rafael» mormorò Emile, aggrappandosi al braccio del figlio e fissandolo serio in volto: «Non devono trovare niente.»
«Che?»
«Porta via tutto» ripeté il genitore, scuotendo il capo mentre la voce si faceva flebile: «Se puoi trova gli eroi di Parigi e affida tutto a loro, ok?»
«O-ok.»
«Professore?» mormorò Sarah, avvicinandosi ai due, mentre Rafael aiutava il genitore a sistemarsi sul divano: «Sta bene?»
«Starò meglio» sentenziò Emile, facendo vagare lo sguardo sul figlio che, recuperata una cartella di pelle, stava infilando velocemente tutto all’interno: «Madamoiselle Davis, le chiedo di non avvicinarmi più a lezione. La prego, non vorrei metterla in pericolo…»
«Cosa?»
«Rafael, non fare parola con tua madre di tutto ciò» continuò Emile, chinando la testa e stringendo la mascella, mentre si portava entrambe le mani alle tempie quasi come se un dolore improvviso lo avesse colto: «Non contattemi, vi prego. E non avvicinatemi. Non voglio mettervi in pericolo.»
«Papà, seriamente, se pensi…»
«Puoi gentilmente fare come ti chiedo?» sbottò Emile, alzando la testa e fissando il figlio negli occhi: «Sono tuo padre, per quanto fallimentare io possa essere, e tu farai quello che ti sto dicendo: prenderai i miei lavori, uscirai da casa mia con la signorina e non mi contatterai, fino a quando non lo farò io. D’accordo?»
«Papà!»
«Niente papà, Rafael!»
Il ragazzo continuò a infilare nella borsa gli articoli e i fascicoli di fogli, scuotendo di tanto in tanto la testa e puntando poi sul genitore lo sguardo grigio: «Non sono d’accordo» sentenziò, stringendo la mascella e tenendo lo sguardo in quello del padre: «Non ti darò retta, lo sai.»
«Lo spero, invece.»
«Mi conosci poco, papà.»
«Sarah, potresti gentilmente…»
«Io sono d’accordo con Rafael» sentenziò la ragazza, interrompendolo e avvicinandosi all’uomo, sistemandosi al suo fianco sul divano: «Non può dirci cosa le sta succedendo?»
«Se lo sapessi, ve lo direi» mormorò Emile, storcendo la bocca come se una nuova fitta di dolore lo attraversasse: «Io non so cosa mi sta accadendo, da quando ho incontrato quel cinese…»
«Kang?»
«E tu come conosci Kang?» domandò Emile, voltandosi verso il figlio che l’aveva interrotto: «No, non è Kang comunque. Qualche tempo fa sono stato contattato da un cinese, voleva finanziare un mio progetto e una mia spedizione per il Tibet, ma…» si fermò, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente, prima di riaprire le palpebre e riprendere a parlare: «Ma poi ho accettato la cattedra in facoltà e tutto è andato a monte, finché non l’ho incontrato nuovamente qualche tempo fa ed è da allora che non mi sento più me stesso: è come se ci fosse qualcun altro dentro di me.»
Rafael annuì, scambiandosi un’occhiata con Sarah e vedendo la sua stessa consapevolezza nello sguardo della ragazza: «Forse sei solo stanco» mormorò, chiudendo la cartella e scrollando le spalle con un sorriso divertito in volto: «Troppo lavoro di mente. Non sei abituato, papà.»
«Già. Vero» commentò Emile, sorridendo appena e socchiudendo lo sguardo: «Beh, adesso andate e, per favore, non tornate.»
«Papà, non ricominciare…» sospirò il ragazzo, scuotendo il capo e alzando la testa verso il soffitto, massaggiandosi il collo con la mano libera: «Sai molto bene che tornerò a romperti o comunque a controllare se non ci sono cadaveri per casa. Il tuo cadavere per casa.»
«Che figlio amorevole.»
«Almeno lo riconosci» sentenziò il moro, osservando la ragazza che si alzava e sorrideva all’uomo, raggiungendolo poi e fissandolo negli occhi, annuendo impercettibilmente con la testa: Emile li accompagnò alla porta e li gettò quasi di peso fuori, salutandoli frettolosamente prima di chiudere il pesante portone dell’appartamento, intimandoli di non tornare una seconda per l’ennesima volta.
Come se gli avesse dato retta…
Rafael rimase a fissare la porta chiusa, scuotendo il capo e stringendo la mano libera, colpendo poi con il pugno il muro dietro di sé con tutta la sua forza, tenendo serrata la mascella e lo sguardo fisso avanti a sé: «Rafael!» lo riprese la ragazza, prendendogli la mano fra le sue e controllando che non ci fossero ferite, spostando poi lo sguardo nocciola sul ragazzo: «La risolveremo, ok?»
«Non dovevano intromettere mio padre.»
«Lo so. Ti comprendo» mormorò Sarah, stringendo le dita attorno alla mano del parigino: «Ma non è prendendo a pugni un povero muro innocente, che risolverai la questione. Chiamiamo Alex, ok?»
«D’accordo.»

Miraculous Heroes 3 {Completata}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora