Capitolo 56

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La donna era prostrata ai suoi piedi, con il viso poggiato contro il pavimento freddo e le mani congiunte avanti a sé, quasi a pregare in quella posizione: «Sono molto deluso» commentò Kwon, muovendosi attorno a lei senza perderne il contatto visivo, quasi convinto che lei sarebbe sparita: «Profondamente deluso. Vi ho dato il potere, vi ho dato la forza, e come vengo ripagato? Con un fallimento dietro l’altro. Hundun, mia cara, quale scopo ha la tua stessa esistenza? A che cosa mi servi?»
«Mio signore…»
Kwon inspirò, abbassando le palpebre e piegando in un sorriso senza vita, mentre il pesante monile, che teneva al collo, strisciò contro la sua pelle e alzò il capo di metallo, aprendo le fauci e soffiando verso la donna, che continuava a rimanere inginocchiata ai suoi piedi: «Sei un tale fallimento, Hundun» continuò, alzando lentamente il braccio destro e, arcuate le dita, sorrise mentre osservava le spire di Quantum avvolgersi attorno al corpo della donna, stringendola; Kwon rimase a fissarla, mentre boccheggiava e la voce flebile implorava pietà.
Un qualcosa che lui non aveva.
Strinse le dita, mentre il Quantum avvolgeva completamente il corpo di Hundun, solidificandosi e intrappolando la donna al suo interno: Kwon la fissò, passando lo sguardo sul corpo che galleggiava nel Quantum, le braccia tese in avanti, la bocca spalancata e gli occhi che sembravano quasi continuare a implorare la pietà in quel signore che ora temeva con tutta sé stessa.
Kwon chiuse le palpebre, sentendo le spire del Quantum lasciarlo andare e si voltò, lasciando lì il bozzolo di energia, un monito per gli altri tre generali.
Hundun era stata la prima, ma sentiva dentro di sé che non sarebbe stata l’unica.
Alzò la testa, aprendo nuovamente gli occhi e lasciando andare il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento, marciando deciso verso la porta della propria stanza e ignorando le presenze dei tre uomini, testimoni della sua giustizia implacabile.
Un monito.
Hundun sarebbe stato quello.
Qionqgi emerse dalle ombre, osservando il pesante uscio della stanza del loro signore chiudersi e poi spostare lo sguardo su Hundun, imprigionata come un insetto nell’ambra preistorica: «Una pessima fine» commentò, avvicinandosi al bozzolo e poggiandovici una mano, sentendolo caldo al tatto: «Mi chiedo che dovremo fare noi adesso» si voltò, osservando i suoi due compagni e trovandoli in uno strano silenzio.
Taowu abbassò lo sguardo, osservando il pavimento e scuotendo poi il capo.
Taotie serrò maggiormente la presa sulla sua lancia, il mento alzato e il corpo teso.
Qionqgi li osservò, tamburellando le dita sulla parte di volto lasciata scoperta dalla maschera: chi dei due avrebbe potuto usare? Chi dei due avrebbe potuto sacrificare? Quale sarebbe stato il prossimo che avrebbe utilizzato come scudo, per posticipare ancora di un po’ il suo momento?
Taowu era troppo concentrato sulla sua bella, troppo deciso a prendersela per sé.
Taotie…
Piegò le labbra in un sorriso, mentre si avvicinava all’altro uomo e l’osservava, indeciso su come approcciarsi: non sapeva molto di Taotie, non era stato abbastanza vicino da comprenderlo, da sapere quale leva usare per smuoverlo.
«Una brutta cosa, non è vero?» buttò lì, osservando il bozzolo di Quantum e la donna imprigionata al suo interno, domandandosi se era morta o meno: «Mi chiedo se anche noi faremo quella fine…» si voltò, osservando il volto semicoperto di Taotie e lasciando andare un sospiro: «Che cosa hai in mente di fare, mio caro compagno?»
«Li distruggerò.»
Qionqgi sorrise, sentendosi quasi riconoscente all’uomo che gli aveva fornito su un piatto d’argento la leva su cui fare forza per spingerlo ad andare a combattere: «Solo tu puoi riuscirci» mormorò, posando una mano sullo spallaccio dell’armatura ingombrante che Taotie indossava: «Solo tu puoi vendicare Hundun.»
«Lo farò. Porterò i Miraculous al nostro signore.»

Rafael poggiò il mento sul materasso, osservando la ragazza distesa e mezza nuda: «Come ti senti?» mormorò, allungando una mano e carezzando con le nocche la pelle delle spalle, guardando le palpebre fremere e poi aprirsi, mentre lo sguardo nocciola si posava nel suo: «Fa male?»
«Un poco» bisbigliò Sarah, alzando appena gli angoli della bocca: «Ma sopravvivrò.»
Rafael lasciò andare un sospiro, annuendo con la testa: «Dovresti stare più attenta…» bisbigliò, poggiando la guancia sul materasso e continuando ad accarezzarla: «Capisco che Thomas era in pericolo ma…»
«Thomas sarebbe stato preso in pieno, io solo di striscio.»
«Sarah…»
«Rafael, parli proprio tu?»
Il ragazzo sorrise, allungandosi un poco e poggiando la fronte contro la spalla: «Non voglio perderti» bisbigliò, baciandole poi la pelle e dando un’occhiata alla schiena nuda: una lunga ferita l’attraversava partendo dalla spalla sinistra e giungendo fin quasi al fianco destro; Sarah era stata ferita superficialmente dal dardo della creatura del Quantum, quando si era gettata sopra Thomas per salvarlo da quel colpo che lo avrebbe sicuramente ucciso.
Xiang l’aveva curata e aveva assicurato che la ragazza si sarebbe ripresa velocemente, aiutata dal fatto di essere una Portatrice e dall’energia benefica del Quantum, di cui il gioiello dell’Ape era intriso: «Non mi perderai» bisbigliò la ragazza, inspirando profondamente e lasciando andare poi l’aria: «Ho intenzione di darti noia ancora per un po’.»
«Ed io che speravo di tornare alla mia vecchia vita.»
«Appena sconfiggiamo Kwon, me ne torno in America. Addio, Rafael.»
«Non mi lascerai.»
«Sei troppo sicuro di te.»
La carezzò con le nocche, scendendo fino al gomito e risalendo poi nuovamente verso la spalla, un sorriso gli piega le labbra e lo sguardo seguiva le sue stesse dita: «Ho sempre pensato che Marinette e Adrien abbiano voluto fare le cose un po’ troppo velocemente, ma devo ammettere di capire il perché…»
«Cosa?»
Rafael socchiuse le palpebre, scuotendo la testa e chinandosi verso di lei, poggiandole le labbra sulla fronte: «Non è il momento di parlarne, apetta.»
«Io direi che è il momento di parlarne. Qualunque cosa hai in mente.»
«Quando starai bene e non avrai la schiena spalmata di unguento cinese.»
«Rafael…»
«Ti dico solo una cosa: non ti permetterò di tornare in America. A meno che tu non torni entro breve o mi porti con te.»
«Rafael, che cosa…?»
Rafael sorrise, tirandosi su e poggiando la schiena contro il comodino, voltandosi verso la porta e notando solo allora la figura di Alex: «E’ successo qualcosa?» domandò, vedendo l’americano tenersi una mano davanti la bocca e tormentare l’unghia del pollice con i denti: «Alex?»
«Vi prego, ditemi che non c’è un altro attacco…»
«Nessun attacco» dichiarò Alex, con un sorriso senza allegria in volto: «Ero di là, stavo controllando le carte di tuo padre e…beh, ho trovato una cosa inquietante. Molto inquietante.»
Rafael aggrottò lo sguardo, scambiandosi un’occhiata con Sarah e vedendo la stessa incomprensione anche in lei: «Puoi spiegarti, Alex?»
«Avete presente il foglietto che avevamo trovato? Il ragno tessitore etcetera etcetera? Ecco, prima stavo controllando alcune cose e ho notato alcune foto e dipinti che tuo padre aveva raccolto: in ognuno aveva cerchiato un volto e praticamente è la stessa persona. Sempre.»
«Come è la stessa persona?»
«E’ lo stesso. Sempre lui. Sempre un uomo dai tratti orientali.»
«Forse Kang? Aveva i capelli chiari?»
«No, li aveva scuri. Almeno mi sembra siano scuri. Insomma, nei dipinti se uno è moro lo dipingono moro, no?»
«Sì.»
«E allora è moro.»
«Che sia Kwon?» domandò Sarah, osservando dal basso i due e vedendoli scambiarsi un’occhiata, senza che nessuno le degnasse di una risposta: «Potrebbe essere tranquillamente.»
«Dovrei mostrarlo a Xiang. Lei è l’unica che sa come è fatto.»
Rafael annuì, portandosi una mano alla tempia e massaggiandosela, passando poi agli occhi e strusciandoseli: «Chiamala. Controlla se è veramente Kwon. Vediamo di riuscire a tirare fuori le gambe da tutto ciò una volta per tutte.»
«Lo faccio subito» dichiarò Alex, uscendo dalla camera sotto lo sguardo di Rafael e Sarah; quest’ultima spostò l’attenzione sul ragazzo al suo fianco, osservando le linee tese del volto e allungò una mano, carezzandogli la guancia e portando su di sé lo sguardo grigio.
«Andrà tutto bene» mormorò la ragazza, tenendo la mano sulla guancia e carezzandogli lo zigomo con il pollice: «Ce la faremo.»
«Lo spero.»
«Siamo un gruppo veramente in gamba e lo sai. Semplicemente, adesso non vuoi darmi la soddisfazione di darmi ragione.»
«Sarah…»
«Rafael.»
Il ragazzo sospirò, piegando le labbra in un sorriso e poggiando nuovamente la testa contro il materasso: «Ce la faremo. Sei contenta adesso?»
«Più convinzione nella voce.»
«Dovresti riposarti, sai?»
«Lo sto facendo: sono a letto, non sto facendo niente. Io questo lo chiamo riposo» Sarah si fermò, continuando a muovere il pollice e sorridendo: «Vuoi unirti a me?»
«Sarah!»
«A riposare! Maniaco!»

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