Capitolo 9

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"Allora? Me lo dici perché hai alzato il gomito?"
La sua voce spezza il silenzio che si era creato e io quasi sussulto, colta alla sprovvista.

Il modo in cui il suo accento straniero accarezza le parole in italiano è... affascinante.

Dio, sto delirando.

"Dove sei nato?"
Non riesco a trattenere la mia curiosità, dimenticandomi di rispondere alla sua precedente domanda.

"A Laguna Larga, in Argentina."
Si volta verso di me, distogliendo momentaneamente lo sguardo dalla strada.
"Perché me lo chiedi?"

"Così." Alzo le spalle. "Non ne abbiamo mai parlato."

"In realtà, non abbiamo mai parlato di niente senza scannarci." Sottolinea con un sorrisetto e io non posso che dargli ragione.

Per la prima volta, condividiamo quattro metri quadrati di macchina, respiriamo la stessa aria e ancora non ci stiamo urlando contro.
Per due come noi, questo è decisamente un bel progresso.

Lo guardo, concentrato a guidare e bellissimo.
I lineamenti del suo viso sono rilassati e ha un'aria tranquilla.
È così diverso dal Paulo dell'altro giorno, con un marcato cipiglio sulla fronte, le sopracciglia corrugate e la mascella serrata.

Un momento prima è una persona e, quello dopo, un'altra completamente diversa.
È difficile stargli dietro.

"A che pensi?" Domanda, distogliendomi dai miei ragionamenti contorti.

"Penso che non ti conosco nemmeno un po'."
Le parole scivolano dalle mie labbra in un sospiro e lui sembra... amareggiato?
Mi lancia un'occhiata che non riesco a decifrare.

Cosa ho detto di male?

"Che c'è?"

"Niente, stavo solo..." Si interrompe, lasciando la frase in sospeso, fino a quando un sorriso malinconico si distende sul suo volto.
"È che per me è come se ti conoscessi da tutta la vita, Bella."

I nostri sguardi si incrociano e mi accorgo che nei suoi occhi non vedo solo iride e pupille.
Ci vedo un mondo nascosto, tormentato e meraviglioso, che non vedo l'ora di scoprire.

"Se ti raccontassi un po' di me, potrebbe aiutarti a chiarire le idee?" Propone e, tutt'a un tratto, appare fragile come un sottile strato di ghiaccio in primavera.

"Non c'è fretta, Paulo. Non c'è bisogno che tu lo faccia, se non te la senti."

Non voglio che si senta obbligato a fare nulla.
Io posso aspettarlo.

Scuote la testa, sicuro.
"Allora, beh, come ti ho detto prima, sono nato a Laguna Larga e ho vissuto lì fino a 18 anni, quando sono venuto in Italia per debuttare nel Palermo.
Gioco a calcio da quando ho memoria e la mia famiglia mi ha sempre supportato in questo.
Era il mio sogno, ma anche un po' il loro.
Vivevo con mia mamma e i miei fratelli, con cui bisticciavo spesso e, altrettante volte, finivamo per menarci, facendo impazzire mamma."

Sorrido, mentre nella mia immaginazione prende forma un piccolo Paulo, il cui viso rotondo è illuminato da due occhietti vispi e color smeraldo, che rincorre un pallone sgonfio e, tuttavia, fondamentale per lui.

"E tuo papà?" Chiedo, dolcemente, notando che non ne ha ancora fatto parola.

"Papà è morto." Risponde semplicemente.
Gli occhi fissano con espressione vacua di fronte a sé.
Le mani salde al volante.

Fidati ancora di me - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora