Capitolo 18

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Un lieve sospiro abbandona le mie labbra, la sua mano scorre su e giù, lentamente, lungo il mio fianco, coperto solo dal sottile strato di tessuto della mia maglia.

Non so spiegare il perché lui sia qui, sdraiato accanto a me, nel mio letto.
So solo che stanotte non volevo dormire da sola, nel buio desolante del mio appartamento.

Non abbiamo parlato molto, anzi, in realtà non abbiamo parlato affatto: finita la canzone, gli ho chiesto di accompagnarmi a casa e di rimanere.

Non ha fatto domande, non ha detto parole superflue.

Ci siamo scambiati degli sguardi, però.
Tanti.
Intensi.

E nell'intimità di questo silenzio, nel calore emanato dai nostri corpi vicini, mi rendo conto che lui mi ha portata via.
Mi ha portata via senza nemmeno chiedere "ti va?".
E non a cena, al cinema o a bere qualcosa.
Mi ha portata fuori, da qualche parte, con la testa, senza farmi più tornare.

Sistemo il ciuffo che, disordinato, gli ricadeva sulla fronte, per poi lasciargli una carezza sul viso.
Lui emette un mugolio e allunga il collo, andando incontro alla mia mano, desideroso del mio tocco.
Lo accontento, facendo scorrere le mie dita fra i suoi capelli morbidi.
Chiude gli occhi, appagato.

"Cosa mi stai facendo, Bella?" Sussurra, dando voce ai suoi pensieri.

Lo guardo, soffermandomi sulle sue labbra socchiuse e reprimendo il desiderio di farle combaciare alle mie.

Sto così bene adesso, qui, con lui.

Forse, però, ho parlato troppo presto.

"Cosa c'è fra te e Alex?" Domanda poi, di punto in bianco, puntando i suoi occhi nei miei e spezzando l'atmosfera che si era creata.

"Tra me e Alex?"
Non capisco.

"Avanti, dimmelo."
La sua espressione ora è seria ed esige una risposta.

Che gli prende?

"Niente, siamo solo amici." Gli assicuro e quasi mi viene da ridere: non sono io quella che deve giustificarsi, non sono io quella fidanzata.

"A me non sembra: durante la cerimonia sei stata appiccicata a lui tutto il tempo, non facevate altro che sorridere e..."

La mia risata si diffonde nella stanza, interrompendo il suo monologo senza senso.

Mi rivolge uno sguardo truce, prima di alzarsi dal letto, allontanandosi da me.
Sento subito freddo.

Perché si sta comportando così?
Perché deve sempre far scoppiare una tempesta, rovinando ogni momento di pace?

"E con Matteo? Il tuo compagno di università?"
Il suo tono è di accusa e mi ci vuole tutta la mia forza di volontà per non cominciare ad urlargli contro.

Si rende conto che non si trova in una posizione tale da poter mettere su scenate di gelosia a me?

"Innanzitutto, si chiama Mattia..." Puntualizzo e questo sembra mandarlo fuori di testa.

"Ah, tanto meglio! Beh, cosa c'è tra di voi? Andate a letto insieme?"

Spalanco gli occhi, scioccata.
È impazzito, per caso?

"Paulo, non vedo il perché io debba giustificarmi per avere degli amici." Sbotto, sull'orlo dell'esasperazione.

Le nocche mi bruciano per la troppa forza con cui sto stringendo il lembo del lenzuolo, sul quale sono seduta.

Allento la presa, cercando di recuperare il controllo.

"Cosa direbbe Antonella se sapesse che sei qui?" Gli chiedo in un mormorio, sentendo una morsa allo stomaco nel pronunciare il nome di quella ragazza.

La sua espressione muta in una smorfia, mentre le parole gli muoiono in bocca.

Okay, ho capito.

"Senti, è... è stato uno sbaglio farti venire qui. Io..." Inizio, ma mi zittisce subito, afferrandomi la nuca e appoggiando febbrilmente le sue labbra sulle mie in un bacio tutt'altro che casto.

Mi spinge piano dalle spalle, conducendomi sul letto con disarmante sicurezza e lasciandomi senza fiato, per poi riprendere il suo dolce assalto.

"Tu. Fai. Impazzire. Ogni. Parte. Di. Me." Scandisce ogni sillaba, mordendo e succhiando la pelle del mio collo.

È sbagliato, sbagliatissimo.
Eppure, consapevole di aver già sbagliato più volte, persevero nel mio bellissimo errore, che ha un nome e un cognome: Paulo Dybala.

"Amo il modo in cui il tuo respiro cambia appena ti sfioro." Sussurra, quando mi lascio scappare un gemito, stremata dalla sua lenta tortura.

Le sue mani stringono con forza la mia maglietta, impazienti di privarsene.

"Paulo..." Mugolo, ansimante, e non so nemmeno io se voglio che si fermi o che si sbrighi a strapparmela di dosso.

Non so che fare, non sono sicura di quello che voglio e sto letteralmente andando in panico.

Mi irrigidisco e lui se ne accorge.
Si blocca immediatamente, allontanandosi appena di qualche centimetro dalla mie labbra, ormai gonfie e arrossate.

"Non te la senti?" Chiede, col fiato corto, mantenendo il suo corpo premuto contro il mio.

Non trovo le parole per rispondergli, confusa come sono, così resto in silenzio, tentando di rallentare il frenetico battito del mio cuore.

Gli occhi di Paulo mi scrutano attentamente: studiano il mio viso, la mia espressione, cercando di decifrare la mia volontà.

Poi con un piccolo sospiro, mi lascia un leggero bacio sulla guancia.

"È troppo presto, hai ragione." Dice, tranquillo, prima di sdraiarsi al mio fianco e coprire i nostri corpi con la coperta.

"Mi sono lasciato prendere un po' la mano, mi dispiace."
Abbassa lo sguardo, imbarazzato, mentre le sue mani giocano con i miei capelli, spettinati e dispersi per il cuscino.

Non dico nulla, lo stringo forte a me, abbandonando la testa sul suo petto.

"Adesso dormi, piccola, è stata una lunga giornata."
La sua voce è un fievole sussurro e io chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dalle sue braccia.

La testa può dire ciò che vuole, tanto il cuore lo sa e la pelle lo sente: in cerca di tranquillità ho conosciuto la follia e me ne sono innamorata.

Fidati ancora di me - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora