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La lettera.

Caro benjamin,
Ti scrivo questa lettera sicuro che la riceverai, speranzoso però, che tu, leggendo il mittente, la leggerai. Ho scelto la lettera perché mi sembra il modo migliore per arrivare direttamente a te. Il tuo numero ce l'ho ancora ma è inesistente, segno che l'hai cambiato. I social li usi, ma non per i messaggi diretti, dunque ho pensato al tuo indirizzo di casa, il tuo forse l'hai cambiato, ma sono sicuro che i tuoi genitori abitano ancora lì, ed è per questo che sono sicuro che tu abbia ricevuto una chiamata da tua madre e che sei ora sul letto di camera tua, che per tanto tempo è stata nostra, il nostro luogo, a leggere. Ben, quanto tempo è passato? 5,6 anni? Era il tuo 22º compleanno e tra qualche istante ricorderai tutto, e mi odierai, e vorrai buttare questo foglio, ma non lo farai, non lo farai perché vuoi sapere cosa ha da dirti questo stupido. Voglio raccontartelo Ben, non mi importa se mi crederai, se non mi crederai, non mi importa. Benjamin, il nostro amore è stato indescrivibile, è stata la miglior cosa che mi sia mai successa, tu, tu sei la cosa più bella che mi sia mai potuta succedere. Ci siamo conosciuti ed io ero solo un fragile ragazzo di periferia, l'unica mia preoccupazione era prendere 29 al posto di 30, vivevo con un destino già scritto: sarei diventato un grande avvocato, avrei sposato una bella donna e avrei dato ai miei figli il nome dei miei genitori. Ma no, non lo volevo. Io non lo volevo e non lo sapevo. Quel giorno Ben avevo preso 29, ero in un bar a cercare di capire perché non mi dispiacesse minimamente quando sei arrivato tu, bello come il sole, occhi azzurri così freddi da farmi gelare l'anima, tu, labbra così carnose che posso ancora sentirle su tutto il mio corpo, tu, un sorriso, uno sguardo e la mia esistenza era stata sconvolta. Per giorni ti cercai, ordinando caffè su caffè in quel misero bar, gli occhi fissi alla porta, ti aspettavo e quando finalmente ti vidi era il mio nono caffè del giorno, stavo impazzendo per te e neanche ti conoscevo. Ricordo ancora quando i tuoi occhi si posarono su di me e improvvisamente ti catapultasti al mio tavolo, così bello, così sicuro di te e così dannatamente timido. Le mie mani tremavano, forse per colpa del decimo caffè o forse semplicemente perché mi stavi guardando, non lo saprò mai, quello che so per certo è che la sensazione di averti vicino non ha niente a che fare con la caffeina. In cinque settimane ti confessai il mio amore, davanti a casa tua, bagnato fradicio sotto la pioggia che minacciava di diventare grandine, ti confessai che il mio cuore smetteva di battere quando non ti vedevo, che ti pensavo di giorno e ti sognavo di notte, che quel bacio che ci demmo a caso sul divano di casa mia mentre in tv passavano una scena d'amore di un film troppo sdolcinato anche per me, mi aveva tolto ogni altro pensiero, c'eri solo tu nella mia mente ed eri solo tu quello che volevo. Quella fu la notte più bella della mia vita. Mi sentivo completo e completamente tuo, camera tua, il tuo letto fu il nostro posto, aveva visto il nostro amore, l'amore più sincero e bello concretizzarsi, e poi quel "Federico ti amo" e le tue labbra sulle mie. Ricordo di avertelo fatto dire cinquecento volte perché una non mi bastava, perché detto da te era come ambrosia per un Dio, perché tu eri l'amore della mia vita, tu sei l'amore della mia vita. Te lo ricordi il giorno dell'esame? Non volevano farti entrare e litigasti praticamente con chiunque tanto che ti cacciarono dall'intera struttura, presi 27, ma cosa mi importava se uscito da lì avevo te ad aspettarmi con un mega striscione con scritto "FEDERICO FA IL CULO A TUTTI" ? Non sapevi neanche quanto avessi preso, eppure mi baciasti come se mi fossi appena laureato, perché ogni cosa facessi tu eri fiero di me, sempre. Benjamin, amore mio, probabilmente troverai questo foglio tutto rovinato dalle lacrime che stanno scendendo, eppure non riesco a smettere di scrivere e di ricordare, ma scrivere tutta la nostra storia sarebbe impossibile anche con una trilogia, e forse un giorno ci proverò ma non ora. Alla fine di maggio mio padre mi propose di continuare gli studi a Milano, mi avrebbe sostenuto con tutte le spese a patto che mi fossi allontanato da te e ritornato a concentrarmi sugli studi, mi aveva anche procurato un piccolo lavoro in uno studio legale, non era nulla al momento ma potevo fare pratica. Non ti dissi niente perché non avevo nessuna intenzione di lasciarti, se fosse stato possibile avrei portato anche te qui ma l'unico intento di mio padre era quello di allontanarmi da te, avere un figlio gay non era uno dei suoi più grandi sogni, e quindi decisi che non sarei partito, solo per te, ma dissi a mio padre che ci avrei pensato e dunque lui mi diede solo un mese, ma tu non lo sapevi. Le prime settimane ero sicuro che avrei rifiutato la proposta di mio padre, ma cosa avrei potuto fare senza soldi da quel momento in poi? Cosa avrei potuto darti in futuro se non ero nessuno? Se non avevo casa, soldi, lavoro, eredità? Cosa sarei stato io se non un peso? Una nullità? Tu eri felice, la tua famiglia ti sosteneva, la tua famiglia mi voleva bene, aveva imparato ad accettarlo, tu non avevi alcun problema, io si. Il giorno del tuo 22º compleanno avevi organizzato tutto, cena fatta da te a casa tua, film e una mini torta, solo per noi due, ne parlavi ormai da giorni mentre io organizzavo qualcosa di totalmente diverso, una sorpresa, una che avrebbe rovinato le nostre vite al punto che mi avresti lasciato. La mattina del tuo compleanno ti aspettavo al bar vicino casa tua senza che tu lo sapessi, non ti avevo scritto alcun messaggio per lasciarti intendere che dormivo, ero seduto al bancone e parlavo con un ragazzo d'accordo con me. Mi sentivo buio, spento, assolutamente inutile, non provavo alcuna emozione se non il dolore. Ti vidi, raggiante come al solito, e per un momento pensai di mandare a fanculo tutto e correre tra le tue braccia a urlarti che sarebbe stato per sempre, ma non lo feci. Lo baciai facendo in modo che cadesse il cucchiaino del caffè a terra affinché tu sentendo il rumore ti saresti girato a guardarci. Da lì tutto buio. Ti scrissi un messaggio "mi dispiace, devo andare via.", 5 semplici parole che mi hanno ucciso. Ero vuoto. Pian piano ho ricominciato a costruire la mia vita. Sono un avvocato, ho uno studio mio, una casa mia, un auto mia, ma manca la cosa più importante: tu. Io non ti ho mai dimenticato, neanche per un giorno, ti ho scritto delle righe per ogni giorno che passava, ti ho dedicato ogni tramonto, ogni alba, ogni sorriso. Ho parlato di te ai miei amici, ai miei colleghi, ai baristi, ai barboni, ai camerieri, a gente in treno, in aereo, in pullman. Ho parlato di te alle stelle, al sole, alla luna. Ho scritto di te sui muri, sulle porte, sulla sabbia, nei testi delle canzoni, delle tante canzoni. Ho voglia di cantartene una, se ti va. Benjamin, mi manchi, mi manchi e non so più come fare. Ho bisogno di te e se almeno un po' mi hai amato ti prego di venire da me, l'indirizzo è sulla busta. Ti amo infinitamente.
Tuo per sempre. Federico.

Could we ever be enough? // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora