Epilogo 1

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“A..aa..pe, ape!” “brava amore! E sotto?” “a..rrr..i.a, aria!” “complimenti, stai andando molto bene” “papà, io ho fame” “Iride, ti ho detto che si cena quando finisci tutto” “non riesco a finire se continui a scrivere parole”
Iride aveva quasi 6 anni, aveva appena iniziato la prima elementare, l’avevamo adottata quando aveva 3 anni dopo mesi e mesi di sacrifici. Paffutella, bionda, occhi verdi smeraldo e una parlantina che la distingueva da tutti i suoi coetanei, ci fecero innamorare di lei dal primo momento che la vedemmo. Sua madre naturale l’aveva abbandonata qualche giorno dopo la sua nascita, da quel momento era cresciuta senza una casa fissa, passando da paese a paese, fino a quando sua nonna, ormai troppo anziana, compiuti due anni, la abbandonò a sua volta in orfanotrofio, senza neanche un nome. Fu lì che le diedero un nome di fortuna, cure adatte e quel po’ di amore che servì a renderla la bambina più dolce che avessimo mai potuto incontrare, oltre che un peperino. A Iride non importava che i suoi amici avessero un genitore maschio e un genitore femmina, neanche ci aveva mai chiesto perché lei avesse due genitori maschi, lei sapeva di essere amata, ed era tutto ciò che ci chiedeva. L’unico problema che aveva avuto era che quando chiamava “papà” entrambi rispondevamo, così un giorno decise di chiamare Ben “babbo” dicendo “significa sempre papà, ma è diverso”.
Non potevamo essere più felici.
“BUONASERAA” disse Ben entrando rumorosamente dalla porta, interrompendo il nostro discorso sul ‘prima il dovere e poi il piacere’ “BABBOOO” urlò Iride correndo tra le sue braccia spalancate “non credere che l’arrivo di super-babbo-Ben ti salvi dalla lettura!” “ma papà ho finito i compiti due ore fa, questi me li hai assegnati tu!” “papà Fede! Non torturare la mia bimba!” disse scherzosamente “tu va a prendere la giacca che stasera si cena fuori, su!” disse poggiando la ventiquattrore sul divano “quando abbiamo deciso questa cosa, eh?” dissi mettendo a posto i libri di Iride, mentre lei correva in camera sua “ma ciao piccolo” mi portò le mani sui fianchi, per poi inserirle dentro al maglione “ciao amore” dissi mettendogli le mani attorno al collo e poi baciarlo dolcemente, non avevamo più tanti momenti per noi da quando c’era Iride, le nostre attenzioni erano tutte per lei, ma a volte mi mancava come eravamo prima. “Ti sei scordato che giorno è oggi?” feci un calcolo veloce “sto invecchiando credo, non lo so” dissi baciandolo di nuovo “te l’ho detto ieri a letto” passò a baciarmi il collo “non mi ricordo più..” “ti ho detto che portavamo Iride al McDonald’s con Alessio, così io e te ci saremmo goduti la serata da soli” fece un passo indietro sbuffando “in realtà pensavo avresti fatto qualcosa di carino per noi” era quasi deluso “mi dispiace Ben, chiamo subito Alessio e..” “ho già fatto, la sta aspettando già” “sono pronta!” arrivò saltellando Iride “andiamo amore, c’è una bella sorpresa” “ma papà non viene?” “no, poi capirai” “Ben..” provai “Fè prendo una pizza, non preoccuparti”. Non mi guardò nemmeno, poi chiuse la porta.

Il giorno in cui ci sposammo sembravamo indistruttibili, io e lui contro tutto, contro chiunque.
Pochi giorni dopo aver dato la notizia a tutti ritornai a Milano da solo, avevo passato 7 giorni vivendo in simbiosi con quello che sarebbe stato il mio futuro marito, a parlare coi suoi vicini, i suoi familiari, i suoi amici, vecchi e nuovi e stringendo quasi con tutti.
Dovevo ritornare a Milano per una questione di vitale importanza: parlare con Alessio. Gli avevo chiesto di farmi da testimone e mi aveva risposto con "NON CI POSSO CREDERE, CHE CAZZO, 6 LUNGHI ANNI A SENTIRE I TUOI NOIOSISSIMI MONOLOGHI E TU MI STAI CHIEDENDO SE MI FAREBBE PIACERE? SEI SERIO!? CAZZO, SI FEDERICO, SI!" Urlò, e tutti, quasi tutti, al Deny cafè lo guardarono con aria sorpresa, certamente non era da tutti i giorni che un cliente si mettesse a urlare e a dimenarsi a caso a quell'ora del mattino; "allora significa che devo organizzare tutto io? Cioè si ok sono il testimone ma.." scossi la testa abbozzando un sorriso "tu devi solo venire a Modena vestito perbene, del resto non preoccuparti" sembrava essersi rilassato, ma aveva mai assistito ad un matrimonio?
Mi svegliai nella mia vecchia camera a Modena, i nostri amici e parenti avevano insistito affinché ci fossimo sposati lì e non a Milano, dunque mi ritrovavo in una stanza tutta azzurra con qualche poster di calciatori mezzi rotti e incollati male, con una brandina accanto al letto sulla quale dormiva Alessio.
"Ale sveglia, sono le 7" provai a scuoterlo mentre mi toglievo il pigiama "no" "come no?" "Ti devi sposare tu, non io, ho ancora molto per..."  Non fece in tempo a finire la frase che era già nel mondo dei sogni. Sorrisi, mi ero scelto il testimone più inutile moralmente della storia dei testimoni, ma era quello che volevo.
Presi l'asciugamano e mi diressi al bagno.
Ero teso. Super teso. Mai stato così teso. Non posso spiegare quanto fossi teso. Se qualcuno mi avesse toccato sarei potuto cadere, non mi reggevo. Con il sorriso stampato sulla faccia, le imperfezioni del viso curate ad arte col correttore della sorella di Ben qualche minuto prima, le mani sudate e i piedi gelati, lo aspettavo. Erano passati 3 minuti dopo le 10, Ben non si faceva vedere e la mia paura che non volesse presentarsi mi stava fottendo. Poi arrivò, bello come forse non lo era mai stato, sentivo la sua ansia a metri di distanza, lo vedevo torturarsi le mani come era suo solito e non potei fare a meno di sorridere. Non ci eravamo dati il buongiorno neanche per messaggio, il "porta sfortuna vedervi prima" di mia madre ci aveva letteralmente terrorizzati e avevamo perfino evitato di entrare sulla chat di WhatsApp.
La voglia di saltare subito alla prima notte di nozze era alle stelle, ma dovevamo prima farle, le nozze.
Tutto quello che successe dopo non lo ricordo più, come succede con le cose belle e come succede quando si finisce per ubriacarsi. Solo ricordi sfocati di mille sorrisi e baci decisi.
Quel giorno mi sembrava che il mondo fosse nelle nostre mani, che tutto fosse perfetto, che noi due da soli fossimo abbastanza, ero la persona più felice del mondo e volevo dimostrarlo a chiunque.
La vita di coppia non ci spaventava, ci trovavamo bene e anzi, col passare del tempo, sempre meglio, nonostante le numerosi - e brevi - discussioni su praticamente tutto ciò che ci circondava, nonostante i miei turni di lavoro stressanti, nonostante la gran fatica che Ben fece per trovare un lavoro a Milano, eravamo felici di essere insieme, ci sentivamo completi. Non nego, però, che ogni tanto la voglia di avere un bambino ci passava per la mente e pian piano cominciammo ad informarci e a prendere quante più informazioni possibili per adottarne uno, e adottare Iride non fu così facile come potrebbe sembrare.
Comunque, il nostro matrimonio non aveva mai mostrato segni di cedimento, anzi, in qualsiasi situazione eravamo più forti con l'aiuto dell'altro, ma quando i turni di lavoro di Benjamin si intensificarono e Iride iniziò le elementari, mi sembrava di vivere un rapporto a distanza: parlavamo il necessario e perlopiù di lavoro/Iride/bollette. Mi mancava anche solo svegliarmi la mattina e trovarlo sul mio petto nudo, o magari vedere il suo sorriso come prima cosa. Ora era già tanto se quando mi svegliavo era ancora a casa. Il 27 Ottobre di quell'anno Ben uscì di casa alle 6:30, lasciandomi un bigliettino sul suo cuscino che diceva "mi dispiace, amore. So che è un giorno speciale per noi ma non posso fare tardi, ti ho già baciato abbastanza mentre dormivi, ti porto un regalino stasera, ti amo". La stessa sera tornò alle 22 passate, Iride dormiva e io ero ad aspettarlo sul divano, mentre cercavo di non addormentarmi davanti al noiosissimo talk che davano su un canale che neanche avevo mai sentito; ovviamente, Ben era stato tutto il giorno al lavoro, non mi portò alcun regalo, è vero, ma in quel momento l'unico regalo che desideravo era il suo sorriso e un suo abbraccio. "Mi farò perdonare" mi disse mentre mi abbracciava e tentava di sdraiarsi accanto a me, furono le sue uniche parole per quella sera ,"ti amo anche io" dissi come risposta al bigliettino della stessa mattina "ti ho regalato.." stavo per dire, ma non continuai, si era addormentato non appena avevo iniziato a massaggiargli la schiena. Ma andava bene così. 
Erano passati 15 giorni da quella sera, avremmo potuto recuperare tutto, ma per via di una causa abbastanza pesante avevo sempre la testa da un'altra parte e avevo dimenticato "la nostra serata speciale", ora avevo all'incirca 10 minuti prima che mio marito tornasse, convinto che avessimo passato la serata con una pizza davanti al televisore e forse è quello che al 99% avremmo fatto in una situazione del genere, ma non quella sera, avevo intenzione di far capire a Benjamin quanto ancora il mio sentimento per lui fosse forte e che mai e poi mai avrei potuto mettere la nostra relazione in secondo piano. Noi prima di tutto. Lui prima di tutto.
Lasciai qualsiasi cosa in cucina e corsi in camera da letto, mi cambiai velocemente, misi il cappotto, presi le chiavi dell'auto poggiate a caso sul mobiletto accanto alla porta e mentre feci per uscire lo vidi entrare con due cartoni di pizza in mano: "dove vai?" "Dove andiamo, forse" lo corressi, era sorpreso, il viso pallido come lo era stato in quei giorni e un piccolo sorriso all'angolo della bocca "che faccio con queste?" Disse indicando le pizze con la testa "le porti" dissi ammiccando "non credi sia meglio starcene qui? Fa freddo e.." gli presi le pizze e le poggiai sullo stesso mobiletto dove c'erano poggiate le chiavi, feci un passo verso di lui e gli poggiai le mani sulle sue guance rosse per il freddo. Chiuse leggermente gli occhi per poi riaprirli un attimo dopo, accompagnati dal suo bellissimo sorriso "..e mi piacerebbe restare solo con te, come una volta, noi due spensierati" "saremo soli, ma questa casa distrae" risposi lasciandogli un piccolo bacio sulla punta del naso "ti amo" aggiunsi, prima di prenderlo per una mano e tirarlo fuori.

Could we ever be enough? // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora