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Motivi lavorativi

Non ci potevo credere. Benjamin? Era lui? Mi fiondai ad aprire ma.. no.. non era lui. "Livia, entra, cosa c'è?" "Aspettavi qualcuno?" "No.. si.. in realtà si ma non so se verrà" "ti ho riportato la stufetta per il bagno" "oh tranquilla potevi tenerla" "l'ho comprata, grazie comunque sei sempre gentile". Livia era la barista del bar accanto allo studio dove lavoravo all'inizio, fu una delle prime persone che conobbi appena mi trasferii, per mesi ho pensato che avesse una cotta per me e me lo confermò quando provò a baciarmi una sera in cui mi offrì più di una birra, non avevo capito il suo scopo ma da quella sera cominciai ad allontanarla, ero più freddo, non rispondevo alle sue chiamate e molte volte non le aprivo quando ero a casa, eppure sembrava non volermi mollare. "Comunque sei sempre gentile" "figurati" "ehm.. mi chiedevo.. ah ma stai cucinando tu, grande! Non sapevo che.." "si, cosa ti chiedevi?" In quel momento si avvicinò a me e mise una mano dietro il mio collo e per la seconda volta provò a baciarmi. Basta questo era troppo. "Livia sono gay" dissi spostandogli la mano e facendo un passo indietro "ah?" "Sono gay e sono innamorato di un ragazzo da 7 anni e anche se per motivi lavorativi non ci vediamo mai io non lo tradirei per nulla al mondo" sbiancò "ohw io, ehm, devo andare" indietreggiò piano, poi se ne andò sbattendo la porta. E che cazzo finalmente.
Ripensai alle parole che avevo appena detto: "motivi lavorativi" già, alla fine era quello il motivo principale, "non lo tradirei per nulla al mondo" "eh si" sorrisi, non lo avevo mai tradito, neanche solo col pensiero, chissà se lui lo aveva fatto.

Il risotto

Pochi minuti dopo, quelli che bastarono per fami fare i peggiori film mentali, la ragazza usci sbattendo la porta, si mise in macchina e andò via velocemente. Le pensai veramente tutte ma il pensiero che forse avevano appena litigato e non aveva voglia di vedermi predominava. Pensai di aspettare ancora ma no, avevo già preso troppo tempo. Così mi feci coraggio, mi avvicinai e bussai. La porta si aprì e lui era lì, davanti a me, cresciuto, l'accenno di barba, capelli più biondi e anche un po' più robusto. Era sconvolto, non se lo aspettava per niente. Non potevo vederlo, ma sono sicuro che avessi la sua stessa espressione: un misto di preoccupazione, dolore, gioia, ansia, felicità e amore, ma all'apparenza sembrava solo una faccia sconvolta. Poi all'improvviso il suo volto diventò sereno, sorrise appena e il mio cuore si sciolse. Sorrisi anche io. Finalmente. Mi fece segno di entrare, entrai e chiuse la porta alle mie spalle, ebbi giusto il tempo di osservare che la casa era perfettamente in ordine, poi mi girai. Non avevamo ancora detto una parola, continuavamo a starcene lì impalati a guardarci, forse lui si aspettava una sfuriata ma io non ero arrabbiato, non lo ero, volevo solo stringerlo, sentirlo mio e dirgli quanto mi era mancato e quanto lo amassi, eppure continuavo a non dire niente. Fu lui a rompere il ghiaccio: "ehm, i.. io.. Dio Ben... io ho.. appena fatto il risotto vuoi.. ecco, si.. vuoi.." "si" risposi prima che lui finisse, sorrisi e lui fece lo stesso.
Lo seguii mentre entrava in cucina, mi spostò la sedia e mi fece sedere mentre lui apparecchiava per due. Mangiammo senza dire una parola, in realtà solo io mangiai dato che ero a digiuno da circa 24 ore, lui girò solo il cucchiaio e mi lanciava delle occhiate ogni tanto, sorridendo.

Could we ever be enough? // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora