*special*

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Erano passati esattamente 10 giorni da quando Ben aveva lasciato il letto in cui mi trovavo, 10 giorni da quando era uscito dalla porta infuriato come non mai. Da quel momento lo avevo incrociato solamente due volte quando alle 18:30 tornavo a casa da lavoro e lo vedevo uscire con uno zaino, entrambe le volte non mi aveva rivolto la parola, né lo sguardo.
Iride mi diceva che ogni tanto andava a prenderla a scuola e restava con lei e la babysitter fino a poco prima che tornassi, mi diceva che le faceva vedere i compiti, che guardavano qualche cartone animato o che facevano merenda, come se nulla fosse successo; mi diceva che non parlava mai di me e che anche se lei glielo chiedeva, lui le rispondeva "poi te lo spiego".
Avevo notato che mancavano delle cose dal suo armadio e ciò mi confortava, perlomeno non aveva deciso di portare via tutto, sarebbe tornato prima o poi, o almeno lo speravo.
Comunque erano passati 10 giorni, la sveglia era appena suonata e anche questa notte, come tutte quelle senza di lui al mio fianco, avevo dormito con Iride che mi stringeva forte: verso le 2/3 si svegliava e veniva nel lettone, come se percepisse il fatto che mi sentissi solo, come se percepisse il mio cuore urlare il nome di Ben, mi abbracciava senza dire una parola, e io facevo lo stesso.
Quella mattina Iride era più pimpante del solito, non faceva altro che saltellare per casa:
"Che succede?" Chiesi confuso, "uhm, niente" rispose uscendo dalla cucina, ma non era stata molto convincente. "Iride Rossi Mascolo vieni subito qui!" dissi con tono duro, ma scherzoso. "Papà, dai" "mi vuoi dire che succede?" "No" "come no?" Incrociai le braccia "oggi.. babbo mi.. babbo mi porta a vedere il circo" disse giocherellando con un bracciale, mi inginocchiai davanti a lei e le presi il polso "è nuovo questo?" Il mio tono era decisamente più caldo e dolce, lei sorrise e annuì "me lo ha regalato papà Ben, dice che quando mi manca lo devo guardare e ricordarmi che mi pensa anche lui".
Il mio cuore si frantumò, i miei occhi si riempirono di lacrime, non ebbi il tempo di fare un solo movimento che mia figlia mi abbracciò forte, e non riuscii a trattenere le lacrime. "Non ti preoccupare papà, io lo so che pensa anche a te, se no avrebbe tolto questa" disse indicando la mia fede, "anche tu hai il suo nome scritto dentro?" Mi chiese sorridente "si" dissi prendendola in braccio e facendola sedere sul tavolo della cucina, poi tolsi la fede e gli mostrai il suo interno, la vidi sorridere "babbo mi ha detto che lui ha il tuo nome e tu hai il suo nome perché al matrimonio ve le siete scambiate, così lui è tuo e tu sei suo, fino a quando lui ce l'ha continua a essere tuo, quindi ti pensa papà, non piangere, lui ti pensa."

Lasciai Iride a scuola come tutte le mattine, col cuore più vivo di quanto non lo era stato in questi giorni, mi recai in ufficio, ma prima di entrare chiamai Benjamin al cellulare, 3..4..5 volte, nessuna risposta.
Benjamin non mi voleva parlare, non mi voleva vedere e non voleva neanche sentir parlare di me, perfetto! Come la risolvevo?
Entrai, presi alcuni fascicoli dalla mia scrivania, salutai Alessio e tornai a casa, avrei lavorato lì, così che se fosse tornato a casa nostra, come presupponevo facesse per prendere dei cambi, lo avrei incastrato.

Erano passate le 14:00, i miei occhi erano rimasti incollati alla porta da quando ero tornato a casa, i fascicoli tra le mani ancora chiusi, non avevo mosso un muscolo, né detto una parola, l'unico che fino ad allora si era deciso a darmi un segno di vita era lo stomaco, morivo di fame, quindi mi alzai, entrai in cucina e mi feci un panino.
Proprio mentre decisi di addentarlo, sentii qualcosa e il mio corpo diventò ghiaccio: la chiave girava nella porta che si apriva piano, riconobbi il sul gesto di lasciare le chiavi a casaccio sul mobiletto accanto all'entrata e il mio cuore cominciò a battere veloce, fece qualche passo, poi si fermò davanti al divano dove probabilmente vide la mia giacca, le scarpe e i fascicoli che avevo lasciato lì, si accorse che ero in casa ma ne tenne poco conto perché passò davanti alla cucina senza distogliere lo sguardo dal cellulare.
Lo aveva sempre in mano e non mi rispondeva mai.
Andò in camera da letto, lo seguii, entrai e chiusi la porta alle mie spalle.
"Prendo due cose, faccio subito" iniziò, senza guardarmi. "Perché non porti via tutto? Non vuoi starci più qui, no?" Lo interruppi con tono freddo. Lui mi guardò qualche secondo, poi cominciò a tirare fuori tutto "no, no, no Ben che stai facendo?" lo interruppi ancora prendendogli i polsi e inserendomi tra il suo corpo e l'armadio "lasciami mi fai male" non mi guardava "guardami negli occhi e dimmi che te ne vuoi andare per sempre" gli ordinai, e lui lo fece, mi guardò con quegli occhi, freddi, grigi di rabbia, di delusione, mi guardò semplicemente, ma non disse nulla. Mi ritornò alla mente quella mattina con Iride, la fede. Gli presi la mano sinistra velocemente quasi impaurito di non trovarla e tirai un sospiro di sollievo quando vidi che era ancora lì, al suo posto, dove doveva essere. Si accorse di quel gesto frettoloso, pieno di paura, che mai avevo fatto, si accorse di quel gesto e anche di quello dopo, il sorriso naturale di quando vidi lo stesso bracciale di Iride, al suo polso, si accorse che la mia presa era meno forte e si liberò, glielo lasciai fare. Prese un paio di pantaloni che arrotolò a caso e inserì nello zaino, glieli tirai fuori e li ripiegai "almeno porta rispetto per chi te li stira, se non vuoi portare rispetto al nostro matrimonio" dissi chiudendogli lo zaino. "Tu? Tu mi dici di portare rispetto al il nostro matrimonio? Oh Cristo, Federico ma sei serio? Ora quello nel torto sarei io?" Ricominciavamo a litigare. "Sono tuo marito, Benjamin, se ancora non te ne fossi accorto. Devi rispondermi quando ti chiamo al cellulare, devi tornare in questa casa la sera dopo il lavoro e devi cenare con me e con tua figlia che dopo devi coccolare e devi dormire a letto con tuo marito non sparire per giorni e lasciare tua figlia a cui manchi da morire, tuo marito in balia della disperazione più totale mentre non sa se stai bene, se mangi, se dormi e soprattutto dove, dove cazzo sei stato? Ti sembra normale uscirtene un giorno e non dirmi dove te ne vai per i prossimi 10 giorni? Ti sembra normale?" Mi sfogai, forse ero stato un po' troppo duro, ma almeno il messaggio era arrivato. "Tu.. proprio tu mi dici che devo dirti dove sono quando sei il primo, il primo che mi mente su dove si trova per andarsi a strusciare su uno spogliarellista del cazzo? Chi cazzo è nel torto Federico, io? Rispondimi!"

Could we ever be enough? // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora