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Fuochi d'artificio

Eravamo seduti sul gradino di fronte alla porta di entrata di casa mia ormai da un po'. Erano le 17:38, l'ultimo treno partiva alle 19:56. Mi aveva chiesto di andare a prendere aria e io non avevo intenzione di contraddirlo in quelli che potevano essere gli ultimi istanti insieme. Avevamo fatto l'amore, era passato così tanto tempo, eppure a me sembrava non essere cambiato nulla, mi sentivo ancora il Federico che a 21 anni aveva perso la testa per quel ragazzo e non faceva altro che desiderarlo in ogni attimo della sua giornata. Lo osservavo in silenzio. Era serio, le mani incrociate, le ginocchia sotto al mento, la mascella serrata il viso tranquillo e lo sguardo che non lasciava trasparire nessuna emozione. Non si era mosso di un centimetro mentre io a differenza sua ero così fastidioso nei miei mille movimenti che mi facevano sfregare il cappotto, provocando rumore. In un altro momento mi avrebbe detto

"stai fermo! Mi farai scoppiare i timpani!" ma ora sembrava non sentire nulla, avrei potuto far partire i fuochi d'artificio e non se ne sarebbe accorto. All'improvviso un colpo di vento gelido gli provocò dei brividi di freddo, quindi si mosse cercando di riscaldare le braccia con le mani. Maledetta giacca di pelle, ma come gli venne in mente uscire di casa in quel modo? Faceva così caldo a Modena? Mi tolsi il cappotto e glielo appoggiai sulle spalle, mi guardò abbozzando un sorriso e sistemandosi meglio. "Vuoi restare ancora qui?" "Si, entra se vuoi" "non se ne parla" mi avvicinai a lui e cercai la sua mano per stringerla, non trovai resistenza, anzi, non solo mi strinse la mano sinistra, ma appoggiò anche la destra sulle nostre mani unite. Erano gelide. "quando prima mi hai chiesto se volevo una famiglia con te.." "non mi hai risposto" "non l'ho fatto perché ero shockato" "avresti potuto dire semplicemente di no" "perché dovrei dire di no?" "allora potevi dire di si" "e tu dimmi che non te ne vai" "sai che lo vorrei ma non posso" "lo stesso vale per me" "ma io non ti sto parlando di qualcosa che dovrebbe avvenire adesso ma di una che forse nemmeno avverrà!" "lo decidi tu se farlo accadere Ben, sei tu che decidi sia per me che per te!" "mi spieghi che cazzo significa?" "ma è ovvio che voglio una famiglia con te e vivere con te e con i nostri figli nella nostra casa tutti i giorni della mia vita, ma se tu te ne vai stasera non accadrà!" "ma potrei ritornare o tu.." "sai benissimo che non è così. Non tornerai Benjamin. Sarai troppo preso dai sensi di colpa per ritornare" "la decido io la mia vita" "decidi adesso cazzo, io non ho più visto i miei genitori da quando mi hanno mandato qui perché mi hanno rovinato la vita portandomi via da te e tu stai per tornare a casa dei tuoi chiedendo 'ehy mamma e papà datemi un consiglio, ritorno con il ragazzo che mi ha spezzato il cuore 6 anni fa e che mi ha fatto stare una schifezza e che solo grazie a voi sono riuscito a dimenticare o resto qui e mi continuo la mia vita e il mio lavoro e magari mi sposo e vi rendo nonni?' ? è questo che vuoi fare Benjamin? Cosa vuoi che ti rispondono? 'vai e fatti rovinare la vita da quello' oppure 'vivi la tua vita felice qui'? eh?" "non riesci proprio a capire." Disse deluso, ma forse io lo ero molto di più di quanto non lo fosse lui. Non avevo più voglia di continuare a discutere, quindi me ne tornai dentro.

Due pezzi di puzzle

Non avevo alcuna voglia di continuare a discutere ma stare lì fuori era diventato del tutto inutile. Di solito stare all'aperto mi faceva riflettere, e in effetti era servito fino ad allora, poi ovviamente aveva cominciato a sparare cazzate, mi aveva fatto innervosire ed ero sempre più convinto che tornare a casa fosse l'idea migliore. La mia vita era lì, la sua era a Milano, e anche se quello che ci univa era l'amore più sincero di tutti, anche se eravamo due pezzi di puzzle, non era detto che lo eravamo dello stesso. Infondo non avevo mai provato a incastrarmi con un altro pezzo che non fosse lui, forse avrei potuto farlo, ma non lo sapevo, perché avevo fatto girare la mia vita intorno a lui.

Entrai dentro sbattendo la porta, stava facendo zapping col telecomando da quando era entrato, lo sentivo da fuori. Tolsi il suo cappotto, sbadato com'ero non riuscii ad appenderlo al primo colpo e mi toccò raccoglierlo da terra. Alzandolo vidi che era caduta dalla tasca la collana con la "f", dopo tutto quello che era successo avevo dimenticato di mettere il pezzo di puzzle con la sua iniziale.

Non avevo provato a incastrarmi con nessun altro perché sapevo quale fosse il mio posto. Sapevo già con chi incastrarmi.

Andai fino al divano dove era seduto coi piedi sul tavolino di fronte e una birra in mano, lo vidi un po' imbronciato "non c'è proprio niente in tv?" "no" "spegni" "no" "okay" mi sedetti accanto a lui "sei caldo" dissi sfregando la guancia sinistra sulla sua spalla destra, non mi rispose quindi provai ad abbracciare il suo braccio "dimmi che succede lì fuori quando io non ci sono, esci incazzato e rientri dolce e voglioso di coccole" "stupido" "vieni qua" disse abbracciandomi completamente. Seguirono attimi di silenzi pieni di parole, i nostri occhi stavano parlando per noi e si dicevano tutto quello che la nostra voce evitava, parlavano di noi. "Tu ci sarai tutte le volte che ne sentirò il bisogno, Fè?" dissi accarezzando la sua mascella "si, e appoggerò ogni tua scelta, sempre Benjamin. Noi siamo due pezzi dello stesso puzzle."

Could we ever be enough? // fenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora