19. Serata tranquilla un cazzo

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Quando manca un'oretta alle sette scendo a prepararmi per andare da Avan. Entro in casa e subito Otis inizia a scodinzolare girandomi attorno e grunendo. Gli concedo qualche istante di coccole prima di chiuderlo fuori dal bagno, miracolosamente libero da George, per farmi una doccia e prepararmi.
Nonostante Avan abbia detto che è una cosa semplice, il suo sguardo mi faceva intuire tutt'altro quindi decido di optare per gli skinny neri strappati sulle ginocchia, una camicia larga e svolazzante accompagnata da un maglioncino verde scuro e dalle décolleté nere, anche se infilo in borsa le snikers e un paio di calzini antiscivolo con disegnate delle paperelle.

Calcolando la mezz'ora di strada esco per le 18:30, sta nevicando. Imprecando contro ogni santo del mondo e del paradiso, avanzo sull'asfalto gelato e scivoloso mentre fiocchi di neve fredda si attaccano ai miei capelli o si infilano dal colletto del mio giubbotto nella camicia e sciogliendosi poi la bagnano. Le calze sotto le décolleté sono già zuppe di neve.
Se volevo per una serata anche solo provare ad essere presentabile la cosa non mi è riuscita gran ché bene.

Arrivo finalmente davanti casa Jogia, per qualche istante mi specchio sul vetro della finestra del soggiorno e un espressione sconsolata solca il mio viso... come sempre Avan sarà perfetto e io sfigurerò accanto a lui.
Suono il campanello.

Ad aprirmi la porta è un ragazzo sulla ventina, assomiglia parecchio ad Avan... anzi ne è la copia, se non fosse per la barba un po' più lunga e incolta. Mi squadra per qualche istante e io mi sento sprofondare di fronte al suo occhio critico.

Eli: -Sono Elizabeth... Elizabeth Gillies, la ragazza di Avan.-
Quell'ultimo chiarimento cambia la sua espressione in un ampio sorriso, mi porge la mano.

Ket: -Piacere, Ketan, il fratello di Avan. Mi ha parlato tanto di te!- esclama, nonostante io ed Avan ora siamo più o meno ufficialmente fidanzati, il fatto che lui possa aver parlato di me al fratello mi fa avvampare di vergogna.
Ket: -Prego! Entra pure!- esclama facendosi da parte, io cerco di asciugare le scarpe il più possibile sul tappeto e gocciolo gran parte della neve sciolta che bagna i miei vestiti e i miei capelli.
Ketan chiude la porta alle mie spalle.

Ci son già venuta una volta a casa Jogia, per la festa del due dicembre, ma vederla senza la calca di ragazzi ubriachi e strafatti fa un altro effetto.
In un angolo del grande salone è posizionato un pianoforte a coda che non mi ero mai accorta ci fosse, un divano ad angolo all'estremo con una libreria immensa davanti; quadri, fotografie e dipinti circondano le pareti rendendo la stanza molto confortevole.

Ket: -Penso lui ti stia aspettando di sopra in camera... è appena tornato da allenamento e tra una mezz'ora ci aspettano per la cena.- dice Ketan... cena cosa? Avan non mi aveva parlato di nessunissima cena.

Eli: -Okay, grazie.- borbotto cercando di nascondere la mia perplessità con un sorriso, lui ricambia e sparisce in qualche stanza oltre le scale.
Mi sfilo le scarpe zuppe e tenendole in mano salgo i gradini per raggiungere la stanza di Avan al piano superiore.
Se non ricordo male è la terza porta a destra lungo il corridoio.
È giusto, ma Avan non è qui.
Magari è andato in bagno, lo aspetterò. In piedi accanto al suo letto mi permetto di osservare le sue foto appese alla bacheca, il pensiero è lo stesso della prima volta: è magnifico in ogni occasione. Alcune sono cambiate, ci sono anch'io in un paio di queste; una in particolare mi fa sentire i brividi. L'ha scattata Josh prima che io ed Avan ci mettessimo assieme, credo domenica scorsa al laser tag. Siamo semplicemente seduti ad un tavolo a chiacchierare, quello che è insolito è il bagliore nei nostri occhi... era davvero tanto evidente che mi piacesse? A quanto pare si.
Mi stupisco di non essermi mai accorta prima che anche i suoi occhi si animano di quella scintilla che li rende, se possibile, ancor più magnetici. Sono persa a rincorrere il filo di un pensiero infinito sull'accaduto di queste poche settimane che non mi accorgo neanche che qualcuno è entrato nella stanza, e che quel qualcuno si è appena fatto la doccia e che a celare ciò che non è bene dire è solo un misero strato di morbida stoffa bianca.

Un mese per dirti "Ti amo"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora