III

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17 gennaio 1987.

1987.

Dove sono finita? Che razza di scherzo è questo?

Si guarda attorno febbrilmente in cerca delle telecamere, magari nascoste dietro quel lampione troppo ingombrante o dentro quel camioncino arrugginito e ammaccato sull'angolo.
Le persone continuano a camminare come se nulla fosse, coi loro pantaloni a vita alta e i capelli cotonati o fissati col gel in acconciature gonfie e morbide.

Come ha fatto a non accorgersi di nulla?

Eppure quella coppia, in casa sua, anche loro avevano tutti i requisiti per far parte di un'epoca ormai andata. E se tutto ciò non fosse uno scherzo, se fosse la realtà - Camila rabbrividisce al solo pensiero - vuol dire che è tornata indietro nel tempo?

Di trent'anni, esatti?

La mano corre automaticamente alla tasca della felpa per tirar fuori il dado. Se lo rigira fra le dita e riflette, la aiuta a calmare quell'ansia crescente da cui se si lascia travolgere potrebbe dare di matto.

«Se dovesse fermarsi in equilibrio su uno dei suoi vertici, sarà allora che avverrà la convergenza, e le leggi del tempo verranno sconvolte».

È davvero ciò che è successo?

Convergenza... È quello che è realmente accaduto?

Camila sente il cuore in tumulto e l'idea penetra lentamente nel suo cervello per attecchirvi e impiantarle la cruda verità: è sola e perduta.

Non ha scelta se non accettare l'assurdo scherzo in cui l'universo ha deciso di intrappolarla per sconvolgere la sua vita.
Ha sempre voluto un'avventura, lasciare la sua impronta mel mondo rientra pur sempre nella sua lista di priorità, ma non così. Non è venendo risucchiata nel passato che vuole costruire il suo futuro, ammesso che si fisicamente possibile trovarsi in una situazione del genere.

Cosa diamine sei? domanda al dado, che si limita a rimanere inerme sul suo palmo aperto.

Non si aspetta certo una risposta, ma quasi la pretende, dal momento che il piccolo oggetto apparentemente inanimato è stato capace di causare un tale scompiglio (sempre trattenendosi nei termini che ciò possa essere possibile).

Camila sospira e si guarda le scarpe, un paio di sottili e logore Converse - un tempo bianche, adesso più vicine al grigio che altro - e comincia a camminare in mezzo alla gente. Non salta nell'occhio, nonostante la felpa che indossa e i suoi pantaloni siano inesistenti nell'epoca in cui si trova, troppo moderni.

Sa che non può girovagare come un'anima in pena per sempre, d'altronde ciò non cambierebbe la situazione alquanto assurda e ridicola in cui si trova, eppure non riesce ad impedire ai propri piedi di muoversi (è anche consapevole del fatto che sia un atteggiamento riflesso al suo crescente stato di panico per la mancanza di una via d'uscita).

Sul raggio della sua vista compare una panchina vuota, pronta ad essere occupata dalla ragazza che, una volta seduta, abbandona la testa fra le mani e focalizza lo sguardo sul cemento della piazzetta sotto le proprie suole.
I minuti passano in un costante silenzio che affolla la sua mente di domande, contrapposto al brusio di quel poco di vitalità che caratterizza il centro della cittadella ancora anonima, finché i pensieri di Camila scivolano in un buco nero dove la concentrazione è volata via dalla questione "trova una soluzione", rimpiazzata da una nuova, per nulla produttiva attività, nonché contare le formiche che camminano in fila indiana fra le fessure dei ciottoli scuri della piazzetta. È un'ottima distrazione, ma fin troppo temporanea, poiché qualcosa facilmente cattura nuovamente lo sguardo della bruna, che alza la testa quando sente un rombo provenire alla propria sinistra.

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