II

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Riapre gli occhi, la testa leggermente confusa e la vista ancora appannata.
Sbatte le palpebre più volte per abituarsi alla penombra che a quanto pare ha avvolto l'ambiente circostante.

Per quanto ha dormito? Sembrerebbe già sera.

Man mano che i suoi occhi si adattano, focalizzano la solita finestra con le tapparelle chiuse.

Non ricordavo di averle chiuse, pensa, e intanto si alza in piedi, piano.

Chissà cosa penserà sua nonna, forse crederà che si è addormentata perché non voleva aiutarla a friggere le crocchette di pollo e patate...

Camila si affretta alla porta, ma poi si paralizza, chiaramente perplessa.
A quanto pare la stanza ha qualcosa che non quadra, poiché il suo sguardo scorre su ogni angolo delle pareti, su ogni mobile e perfino sulla moquette verde bottiglia sul pavimento, tutti dettagli comunque abituali per una camera da letto.

Eccetto per il fatto che Camila non possiede alcuna moquette.

La ragazza osserva il letto matrimoniale con le lenzuola ordinate di un azzurrino molto chiaro, i due comodini posti uno ad ogni lato della cornice, con due lampade posate su di essi, un lungo comò appoggiato alla parete opposta al letto, accanto alla finestra, le cui tapparelle sono sorprendentemente lucide e bianche.

Dove sono?
È il primo pensiero di Camila che, abbassando lo sguardo, coglie una luce riflettersi e abbagliarla appena.
Si accuccia e trova il suo dado, abbandonato sulla moquette come stesse dormendo.

Lo afferra e se lo rigira fra le mani, come fa spesso quando non si capacita di qualcosa o pretende una spiegazione a fenomeni alla cui fonte è comunque consapevole di non poter mai risalire.
Poi, lo mette nella tasca della felpa che indossa e si avvia verso l'uscita della stanza.

Percorre le scale, quelle stesse scale di casa sua che sono rimaste intatte sin da quando si è trasferita a casa di nonna Mary, e si precipita in cucina, dove è convinta di trovare l'anziana ancora davanti al televisore.

Camila ignora quel senso di inquietudine che la pervade, camminando in fretta e sperando che il suo cervello la smetta di macchinare idee scientificamente inaccettabili, frutto dei troppi momenti d'ozio spesi a fantasticare su situazioni surreali.

«Nonna?» chiama, quando si trova davanti alla porta chiusa della cucina.

Non si cura neanche del fatto che la sua mano si sta appoggiando su un pomello d'acciaio, rotondo e piuttosto antiquato come stile, nulla a che vedere con la maniglia della porta di legno chiaro della loro casa.

Apre, e sgrana gli occhi.

La cucina è semplicemente... Diversa.

E popolata da sconosciuti.

La prima cosa che le salta all'occhio è il pavimento con paistrelle a scacchiera, e sta per alzare lo sguardo sul piccolo televisore di forma cubica posato sul tavolo quando un urlo la fa sussultare.

Proviene da una voce femminile, e gli occhi di Camila guizzano su una donna - dev'essere sulla quarantina, a giudicare dal viso solo leggermente screziato da alcune rughe - i cui capelli sono raccolti in una fascia giallo canarino. Indossa un grembiule rosa confetto, chiazzato da macchie di sugo, probabilmente, e in mano regge una grossa pentola fumante, dall'odore sembrerebbe spezzatino.

In contemporanea, a qualche passo di distanza dalla donna, si erge un uomo, forse di un paio d'anni più grande.
I suoi capelli sono corti e scuri, le folte sopracciglia aggrottate coprono i suoi occhi tanto quanto un paio di baffi spessi camuffa il suo labbro superiore. Dalla sua sudicia canotta infilata nei pantaloni, che un tempo doveva essere stata bianca, esce della peluria, all'altezza del petto, e Camila arriccia il naso a quella vista.

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