Chapter 10: Lancôme

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"Angel! Angel, porca miseria, svegliati! Svegliati, svegliati, svegliati! Sei in ritardo!".
Un ultimo scossone mi risveglia bruscamente, riportandomi alla realtà, e davanti a me vedo Kelly che mi guarda a dir poco agitata.
"Hai lezione tra cinque minuti, Angel!" Continua, passandomi il bicchiere più grande che ha di caffè, e a quelle parole sobbalzo sulla sedia, rendendomi conto di essermi addormentata nel bel mezzo del bancone della caffetteria.
Cazzo, sono un impiastro.
"Merda! A dopo, Kels!" Urlo, raccogliendo sciarpa e zaino, correndo fuori sotto lo sguardo degli studenti che sicuramente mi stanno ridendo dietro.
Non che la cosa mi interessi, al momento voglio solo mantenere la mia media e la mia frequenza intatte.
E oggi il professore di storia moderna dovrebbe anche riconsegnare gli scritti, quindi non posso per alcuna ragione al mondo mancare.
Ma, allo stesso tempo, non riesco a correre come invece farei un altro giorno.
Come mi è saltato in mente di fare quattro bis, di finire alle tre e mezza del mattino, di arrampicarmi fino alla mia stanza e soprattutto, soprattutto, di baciare Michael?
Non lo rimpiango affatto, perché diamine, se mi è piaciuto, e lo rifarei ancora, e ancora, e ancora, ma allo stesso tempo, a mente lucida, so di aver corso un rischio, specie a parlargli.
Spero soltanto di non aver rovinato il mio piano da sfasciafamiglie.
Entro in aula a testa bassa, ringraziando il cielo per l'esistenza del quarto d'ora accademico, e sto per prendere posto al fondo quando qualcuno mi afferra per il polso.
Giuro che se è Brendon Urie che mi chiede una sveltina tra storia moderna e letteratura americana gli verso addosso il caffè bollente.
"Aspetta, Angel... Ti ho tenuto un posto".
Alzo di scatto la testa a quella voce, trovandomi davanti Michael che mi sorride leggermente, stanco e con due occhiaie viola sotto gli occhi, quelle che ho coperto alla meglio stamattina con una dose inumana di correttore color pesca.
"Oh... Io... Grazie, credo?" Rispondo, cercando di parlare nel casino generale, e lui annuisce prima di scalare di un posto, permettendomi di sedermi.
Probabilmente adesso mi addormenterò di nuovo, me lo sento.
"Senti, Angel, devo parlarti" continua, girandosi verso di me e guardandomi intensamente, e per un attimo, un solo attimo, ho paura che abbia scoperto chi sono.
Ecco, quello sarebbe difficile da spiegare.
"Veramente... Al momento, non sono molto dell'umore, sono un po' stanca" confesso, tentando di eludere il suo sguardo, e Michael annuisce, leccandosi poi le labbra -Dio, labbra da succhiotti- e tornando all'attacco: "e a pranzo? A pranzo potremmo... Parlare? Ho bisogno di un consiglio".
E io ho bisogno della sua testa tra le mie cosce, ma mica continuo a lamentarmene.
Ma non riesco a dire di no ai suoi occhi, cosí, semplicemente, annuisco, e senza farmi vedere mando un messaggio a Dua Lipa di semiotica.
Quel debito di ditalino non sarà saldato oggi, purtroppo.

***
"Vacancy was lit, the guests were checking in, the concierge was cold, the water pipes had mold all over them, the room was fit for two, the bed was left in ruins, the neighbor was knocking, yeah, but no one would let him in" canticchio piano tra me e me, incrociando le gambe sulla solita panchina tra gli alberi ormai spogli.
Quando Kelly è troppo presa dal lavoro e non ho programmi con nessuno nei bagni o negli sgabuzzini (o nel parcheggio, per quello che conta), è qui che vengo a far passare le due ore tra letteratura americana e semiotica.
Ed è qui che ho dato appuntamento a Michael mentre cerco, in qualche modo, di spiegare tramite messaggio a quel maniaco di Alex Turner che stasera non posso esibirmi.
I miei genitori e Ashton cominciano a sospettare qualcosa, non vale la pena rischiare.
Nel frattempo, continuo a muovere la testa a ritmo di A Little Death dei The Neighbourhood, una canzone che ho sempre trovato mi calzasse a pennello.
All'improvviso qualcuno mi toglie una cuffietta, sedendosi poi accanto a me, e non ho bisogno di girarmi per sapere che si tratta di Michael a cui, semplicemente, porgo la cuffietta che mi ha tolto.
"Prima di parlare, goditi un po' di buona musica" sorrido, e lui mi guarda stranito prima di accettarla, infilandosela nell'orecchio.
"Touch me, yeah, I want you to touch me there, make me feel like I am breathing, feel like I am human, dancing through the night, a vodka and a sprite, a glimpse of the silhouettes, a night that they never forget".
Anche la testa di Michael comincia a muoversi leggermente a ritmo, ed io sorrido tra me e me, guardandolo, prima che sia lui a girarsi, cogliendomi in flagrante.
"Mi piace questa canzone, come si chiama?".
"A Little Death, è dei The Neighbourhood" rispondo, scoppiando poi in una piccola risatina che suscita la sua curiosità, ma aspetta che la canzone finisca e che mi tolga la cuffietta prima di chiedermi il motivo della mia risata.
"Sai qual è uno dei nomi dell'orgasmo in francese?" Domando a mia volta, e le sue guance si tingono di rosso, facendo solo aumentare la mia malizia mentre scuote la testa.
"La petite mort, la piccola morte. È così che definiscono un orgasmo totalizzante che raggiunge la mente e ti fa sentire un'estasi che, per un momento, ti fa sentire morto. A little death, per dirla come la canzone. Dicono che siano orgasmi che non capitano spesso" spiego, e Michael, che fino ad allora era rimasto spiazzato come un verginello, finisce per leccarsi le labbra e chiedere: "a te è mai successo?".
"Beh, ho avuto molti orgasmi in vita mia... Ma uno cosí potente non credo di averlo mai avuto, me lo ricorderei. E tu, con la tua... Ragazza?".
La domanda lo mette in crisi, e me ne accorgo quando comincia a giocare con le sue stesse dita, abbassando lo sguardo: "no, noi non abbiamo mai... Hai capito, no?".
"Sei vergine?" Domando, non poco sorpresa, ma lui alza gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
"No, no. Ho avuto altre relazioni prima di lei, altre ragazze con cui sono stato, ma... Non credo di aver mai provato la petite mort" risponde, smettendo finalmente di torturarsi le dita e guardandomi negli occhi.
"Dio, tu proprio non sei un angelo, i tuoi genitori avrebbero dovuto chiamarti Lucifero".
"Semmai, Stella".
"Stella?".
"Lucifero era chiamato anche 'Stella del Mattino', e visto che sono una ragazza, fino a prova contraria, Stella sarebbe stato un nome più adatto a me" spiega, facendo sorridere leggermente Michael che appoggia la schiena contro la panchina, guardandomi divertito.
"Chi l'avrebbe mai detto?" Ridacchia tra sè e sè, scuotendo la testa, ed io lo guardo, inarcando un sopracciglio, ma lui non mi risponde, leccandosi nuovamente le labbra, probabilmente per il freddo, prima di incrociare di nuovo i miei occhi.
"L'ho tradita, Angel. Ho baciato un'altra ragazza. Ho baciato Naughty Girl".
Oh, Michael.
Se solo sapessi che, in realtà, hai baciato proprio me.

Naughty Girl || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora