Theresa si rese conto che studiare in quel gran casino sarebbe stato impossibile. Michelle, la sua compagna di stanza, ciarlava al telefono da qualcosa come un'ora, e Theresa era sulla stessa pagina da quando quella gatta morta aveva sollevato il ricevitore.
Gesù, ma non smette un attimo di starnazzare? pensò stizzita.
«Non mi dire che... stai scherzando? Giura!» chiocciava Michelle, il ricevitore premuto sull'orecchio.
Non aveva esami da preparare? Da che Theresa la conosceva non ricordava di averla mai vista con la testa su un libro. Il passatempo preferito di Michelle era il pettegolezzo selvaggio.
«E lei cosa ha risposto quando lui... no! Ma fai sul serio?»
Theresa decise che era ora di cambiare aria. Chiuse il libro con fare stizzito e lo ficcò nella borsa. Prese il giubbotto, lanciò un'occhiataccia di traverso a quell'oca giuliva che aveva per compagna di stanza e uscì senza neanche rivolgerle un cenno di saluto.
Odiava quelle come Michelle, festaiole incallite sempre alla ricerca del pettegolezzo dell'ultimo minuto. Se avesse potuto avrebbe cambiato stanza, ma il regolamento del campus non lo permetteva se non per motivi eccezionali. Perciò, a meno che Michelle non decidesse di lasciare il college o non si facesse espellere, Theresa era destinata a dividere parte del suo spazio vitale con lei.
Fece le scale e uscì da quell'ala del dormitorio. Una volta fuori indossò il giubbotto. Negli edifici del campus potevi stare a mezze maniche, tanto erano riscaldati, ma di fuori spirava un vento che ti tagliava la pelle.
La biblioteca distava poco dal dormitorio.
Mentre camminava vide una scena curiosa. Uno dei giardinieri che giravano per il campus era fermo nel mezzo di un'aiuola, accanto alla vanga piantata nel terreno. Tra le mani stringeva qualcosa e lo esaminava come un archeologo farebbe con un antico manufatto. Continuava a rigirarselo tra le mani.
Theresa si avvicinò e vide che si trattava di un cofanetto. Era sporco di terriccio, e l'uomo lo stava ripulendo. Theresa vide emergere numerosi ghirigori che si rincorrevano sulla superficie arrugginita. L'uomo diede un'occhiata veloce, poi si concentrò sulla serratura, costituita da un piccolo uncino infilato in una cruna di metallo. Rimosse l'uncino e aprì il cofanetto. Tirò fuori qualcosa che era avvolto in un panno di cuoio. Poggiò in terra il cofanetto, rimosse il cuoio e trovò un pezzo di stoffa. Rimosse anche quello e si trovò a guardare un vecchio manoscritto rilegato a mano. Sfogliò qualche pagina e la fronte gli si riempì di rughe. Theresa si avvicinò.
«Che cos'è?» chiese all'uomo.
«Sembra una specie di diario», disse lui, porgendole il manoscritto.
Theresa prese il manoscritto. Sembrava vecchio come il mondo. La rilegatura era datata, il cuoio cedevole sotto le dita. I bordi delle pagine erano intaccati dall'usura del tempo. Theresa prese a sfogliarlo. Era scritto a mano. Ogni lettera aveva una sua forma tipica, come le piccole code arricciate delle "a" e i trattini lunghi e curvi come un paio di labbra sorridenti delle "t". Era una scrittura morbida, che ti carezzava.
Tornò all'inizio del manoscritto e lesse qualche riga.
La Luna del Cacciatore si staglia limpida. Mentre scrivo, il suo pallido velo mi cinge le mani. Sono mani solcate da rughe profonde, con vene che affiorano come radici dal terreno. Appartengono ad una vecchia donna che forse non vedrà un'altra luna di così straordinario fulgore. La paura mi attanaglia le viscere. Non provo vergogna alcuna ad ammetterlo. L'orgoglio è l'ultimo bastione a crollare quando la morte ti siede accanto e ti tiene per mano. L'unico pensiero che riesce a donarmi un temporaneo e misurato sollievo, è che presto potrò ricongiungermi al mio amato.
«Vero?» chiese l'uomo.
«Così pare», disse Theresa.
«Non mi pare granché interessante», commentò l'uomo.
«Dove l'ha trovato?»
L'uomo le indicò una buca nel terreno, a pochi centimetri dalla vanga.
«Uno spigolo di quel ferro vecchio spuntava dal terreno. Ci sono inciampato sopra», disse, additando lo scrigno arrugginito con un movimento del pollice. Indicò il manoscritto con un cenno del capo. «Perché è scritto strano?»
«Non è scritto strano, ma in un inglese arcaico», spiegò Theresa. «Posso dargli un'occhiata?»
«Puoi tenertelo, se vuoi. Non saprei che farmene.» Recuperò il cofanetto e se lo sistemò sottobraccio. «Questo, invece, qualche dollaro mi sa che lo vale.»
Lo ficcò in un sacchetto che aveva con sé, nel quale avrebbe dovuto raccogliere l'erba tagliata. Poi iniziò a spalare la terra nella buca.
Theresa lo salutò e si allontanò.
Avrebbe dovuto andare in biblioteca, invece tornò al dormitorio. Salì al terzo piano, percorse il lungo corridoio disseminato di porte e si fermò davanti a quella della sua stanza. Avvicinò l'orecchio al legno e sentì lo starnazzare di Michelle. Mai visto nessuno far andare la lingua come lei. Era davvero instancabile.
Stizzita, Theresa arrivò in fondo al corridoio, svoltò a destra e continuò finché non arrivò in vista dei distributori automatici. Decise che come posto era perfetto. Sedette a fianco del distributore di bevande, di modo da essere coperta dalla mole del gigante che sputava lattine. Se qualcuno fosse sopraggiunto da dove era arrivata, avrebbe avuto tutto il tempo di occultare il manoscritto prima che lui o lei lo scorgesse. L'altro lato non costituiva un problema. Il corridoio si interrompeva, e non c'erano altre stanze a parte lo sgabuzzino dove gli inservienti tenevano i loro attrezzi del mestiere.
Theresa riprese a leggere da dove aveva interrotto.
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Il diario di Mercy Brown
RomanceTheresa entra in possesso di un antico manoscritto: il diario di una donna vissuta nella Salem puritana. Tra orrori soprannaturali e uomini senza scrupoli, compagni di viaggio inaspettati e la nascita di un amore senza tempo, Mercy rievoca la sua ro...