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Per il tempo che restai sospesa fra il buio e la luce, continuai ad udire quel suono. Provai a resistere, e per un po' ci riuscii. Poi le forze mi abbandonarono e sprofondai nella palude dell'incoscienza. Sognai una legione di vampiri, in volo nei cieli di Salem. Le loro sagome nere si stagliavano contro il cielo screziato d'arancio. Le ali si gonfiavano mentre scendevano in rapida picchiata. Alcuni sfondavano le finestre ed irrompevano nelle abitazioni, altri si introducevano passando attraverso i comignoli dopo essersi rotti le ossa di braccia e gambe, contorcendosi in una danza sfrenata. L'intera Salem si riempiva di urla strazianti, ma era dalla Casa Nera che giungevano i lamenti più lugubri.

Poi le finestre esplodevano e quelle abominevoli creature volavano fuori. Toccavano terra come timidi passeri, e in quel momento riuscivo a distinguere un volto. Era Charity, magro e pallido spettro, morta ma viva al tempo stesso. I suoi occhi luccicavano in modo perverso. Aveva labbra color rubino. Sorrise mostrandomi i denti, così lunghi e affilati da apparire osceni. E prima che me ne rendessi conto era accanto a me, mi afferrava un braccio ed affondava i denti nella carne. E mentre si nutriva, mugolava.

Mi destai di colpo. Era mattino. La luce entrava obliqua e si spandeva sul mio giaciglio. Mi voltai verso la luce e fui costretta a serrare le palpebre. I raggi del sole erano come lame negli occhi. Mi sentivo debole come un uccellino in fin di vita. Provai a sollevare il capo ed il mondo si inclinò da un lato come una nave che abbia imbarcato troppa acqua. Gemetti e tornai a distendermi.

«Mercy?»

Mi voltai. Era Abigail. Stava in piedi e mi guardava ansiosa.

«Non riesco...» iniziai, e fui costretta a chiudere gli occhi perché la luce mi incendiava il cervello. «Non riesco a muovermi.»

«Il dottore ti ha visitata mentre eri priva di conoscenza», mi informò. «Dice che ti riprenderai presto.»

«Cosa mi è successo?» chiesi. L'unico ricordo che avevo era l'eco distorta di un incubo.

«Non ricordi?»

«Abigail, stento a ricordare persino il mio nome.»

«Lei... ti ha portata nei boschi», disse Abigail, e il ricordo esplose come un colpo d'artiglieria.

Ricordai il viso di quella strega che sembrava ardere sotto l'argento lunare, la ruvidezza della corteccia sul viso quando mi ci aveva fatto scivolare sopra la guancia, la corda che mi stringeva il petto. E il suo osceno pasto.

Spalancai gli occhi e mi sollevai a sedere. Osservai il braccio. C'era un bendaggio poco sopra il polso, dove Charity aveva affondato i denti. Mi tornò in mente l'incubo e per un momento il volto del magro vampiro che aveva infestato il mio sonno si sovrappose a quello di Charity.

Ebbi un capogiro ed Abigail accorse.

«Devi stare a riposo», disse. Mi aiutò a stendermi. «E devi mangiare. Il dottore dice che hai bisogno di nutrirti, se vuoi rimetterti in forze.»

Nutrirmi, pensai, e l'immagine di Charity che banchettava col mio sangue mi apparve nitida dinanzi agli occhi.

Abigail si allontanò per qualche istante. Quando tornò aveva con sé un piatto. Mi fece scivolare una mano dietro la nuca e mi aiutò ad alzarmi. Sistemati nel piatto c'erano una fetta di pane e mezza patata. Abigail mi tenne su la testa mentre mandavo giù quel lauto pasto e, quando ebbi finito, mi aiutò a tornare distesa.

Poi mosse per uscire dalla stanza.

«Abigail?» chiamai.

Si voltò con uno sguardo impaurito. Aveva sempre quello sguardo. E c'era una patina umida nei suoi occhi che glieli trasformava in quelli di un pesce.

Il diario di Mercy BrownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora