18.

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Una volta al sicuro, tra le pareti del nostro rifugio nel folto dei boschi, John mi ragguagliò su alcuni particolari che non riuscivo a spiegarmi. Primo fra tutti, come mai la porta sul retro non fosse chiusa a chiave. La risposta di John mi lasciò senza parole.

«È merito di Abigail», disse.

Mi spiegò che durante le ore pomeridiane, mentre dormivo, si era recato a Salem. Mi adirai con lui per il rischio che aveva corso. Recarsi a Salem in pieno giorno era da sconsiderati, per non dire da stupidi. Quando però mi disse cosa aveva fatto, fui a un passo dal rimangiarmi ciò che avevo detto e lodarlo. Non fosse stato per la sua iniziativa, tutto quello che avvenne in seguito non si sarebbe mai realizzato, e forse ora non sarei qui, tra queste confortevoli mura, a stilare questo mio lascito.

«Era al mercato», mi spiegò. «L'ho scorta per puro caso e mi sono detto che dovevo avvicinarla.»

Mi disse che l'aveva seguita e, quando aveva giudicato che non ci fossero pericoli in agguato, aveva rivelato la propria presenza. Si erano nascosti in un vicolo solitario, al riparo da occhi e orecchie puritane, e lì l'aveva convinta ad aiutarlo.

Non capivo che argomenti avesse usato per convincerla. Smuovere Abigail sembrava arduo quanto spostare un monolito a mani nude. Indurla poi a complottare contro Hawthorne e Charity mi pareva un'impresa degna di un Ercole.

«Mi è bastato fare il tuo nome», disse John.

«Il mio nome?»

Assentì. «Abigail ti vuole bene. E la tua insurrezione le ha infuso coraggio.»

Mi chiesi se avesse parlato con la stessa donna che avevo conosciuto.

«Mi ha detto che ci avrebbe aiutati. Le ho spiegato quello che avevo in mente e mi ha detto che avrebbe lasciato aperta la porta sul retro, così da agevolare la mia intrusione. Si era anche offerta di recuperare il sacchetto, ma le ho ingiunto di non provarci. Il rischio che venisse sorpresa era troppo grande.»

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Più John proseguiva con il suo racconto, più il mio stupore cresceva.

«Le ho chiesto di unirsi a noi ma ha rifiutato», confidò.

«Abigail», sospirai, improvvisamente in pena per lei.

Mi chiesi se stesse bene e pregai che non le accadesse nulla.

«Rammenti quando sono andato a prenderti i vestiti?» mi chiese John. Assentii. «Era sveglia, e avrebbe voluto vederti, ma era troppo spaventata per uscire. Così mi ha detto di riferirti un messaggio. Le sue parole sono state: "Di' a Mercy che la ringrazio. Mi ha insegnato che uno spirito indomito può cambiare il corso delle stelle. Se un giorno riuscirò a cambiare il mio, sarà solo merito suo".»

Calde lacrime affiorarono. Piansi in silenzio.

«Prima di tornare da te le ho chiesto di tenere occhi e orecchie spalancati. Domani, fra due giorni al più tardi, la incontrerò di nuovo.»

Fu così che Abigail diventò quello che Ermes era per gli dèi greci. Trafugava notizie e le portava all'attenzione di John. Ma fece più di questo. Quando John la incontrò, due giorni dopo la nostra sortita nella Casa Nera, Abigail gli posò tra le mani un pezzo di pane avvolto in un panno ed una brocca con dell'acqua.

John gliene fu grata al punto da pregarla di accettare in compenso qualcuna delle monete trafugate, ma Abigail rifiutò. Non voleva essere ricompensata per qualcosa che riteneva un proprio dovere. E poi Charity la controllava. In due diverse occasioni l'aveva sorpresa a condurre minuziose ispezioni negli alloggi della servitù, come se cercasse le prove di un qualche delitto, e il giorno dopo la nostra sortita notturna l'aveva pedinata. Abigail l'aveva vista, avvolta in una tunica, mentre tentava di celare la propria presenza.

Il diario di Mercy BrownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora