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Chiesi comunque a John di dirmi cosa avesse in mente, dato che non avevamo un'alternativa.

«C'è una capanna, proprio nel folto dei boschi.»

Nessuno si inoltrava mai lì. La pancia dei boschi era un coacervo irto di insidie. La vegetazione si infittiva ed era facile smarrire la via. Glielo dissi e lui mi rispose che era in grado di orientarsi. Aveva anche segnato il sentiero che portava alla capanna.

«Possiamo nasconderci lì per qualche giorno.»

«E poi?»

«Poi troveremo il modo di lasciare quest'inferno.» Mi prese per mano. «Andiamo.»

«Adesso?»

«Mio padre non attenderà il sorgere del sole.»

Fu strano scorgere tanta risolutezza su un volto così giovane. Non sembrava più la stessa persona che avevo conosciuto. Qualcosa in lui era cambiato. Era come se quel singolo atto di ribellione avesse fatto emergere una parte nascosta della sua personalità.

«Va bene», dissi, sapendo che non potevamo fare diversamente.

Con tutta probabilità Hawthorne stava già radunando un drappello di volenterosi che ci desse la caccia.

Ci alzammo e ci dirigemmo verso sud. Seguimmo per un po' il ruscello e giungemmo infine al limitare dei boschi. Mano nella mano, sostammo in una macchia di luce lunare, a scrutare nelle profondità di quell'immenso sepolcro autunnale. Un leggero vento si era alzato e spazzava il fogliame ingiallito che gli alberi avevano depositato. Sentii il crepitio sommesso delle foglie indurite che cozzavano le une contro le altre e rabbrividii. Si avvertiva la presenza di una forza ostile che dominava quel territorio selvaggio.

Strinsi la mano di John.

«Ho paura», dissi, e avvertii un tremito alle ginocchia.

«Anche io», rispose John. «Ma non abbiamo alternative. Ammesso che tu non abbia preso in considerazione la forca.»

«Non sei costretto a farlo.»

«Te l'ho detto, non ti lascio sola.»

Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi agli angoli.

«Sei pronta?» mi chiese girandosi a guardarmi, e in quel momento udimmo il lontano abbaiare di un cane.

Ci voltammo nello stesso istante.

«Sono loro», disse John.

Mi tirò via e ci inoltrammo nei boschi, i piedi nudi che frantumavano le foglie e le inadeguate vesti da notte a ripararci dal vento che iniziava ad alzarsi, mentre quei latrati ci seguivano.

John camminava svelto, quasi correva. Io tentavo di stare al passo, ma mi sentivo come una zavorra che lui era costretto a trascinarsi dietro. La terra che calpestavamo era umida come il ventre di un pesce. Quel sentore di bagnato sotto le palme dei piedi diede vita a fantasie grottesche. Immaginai esseri dalle forme vagamente antropoidi che si muovevano per i boschi. Strisciavano sulla pancia pallida, spostandosi con l'ausilio delle mani palmate e lasciando una scia fetida e umida dietro di sé come la bava di una lumaca.

Mi guardai intorno come a volermi accertare che non ci fosse nulla di anomalo in quella selva fitta che ci avvolgeva. Un frullio d'ali e lo sghignazzare convulso di uno stuolo di succiacapre mi fece sobbalzare. John se ne accorse e provò a calmarmi, ma quando si voltò mi parve di vedere una luce malsana che gli danzava negli occhi. Era il riflesso dell'argento lunare che gli imbrigliava lo sguardo, ne sono certa, ma in quel momento ebbi paura che si fosse trasformato in uno spettro.

Il diario di Mercy BrownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora