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Non ricordo il nome del libro nel quale rinvenimmo questo breve e terrificante estratto. John ne entrò in possesso a distanza di anni dalla nostra fuga.

Ricordo ancora quando me lo mostrò. Lo teneva aperto con l'ausilio della sola mano destra, il pollice tra due pagine, e me lo porgeva. Un muto terrore gli riempiva lo sguardo e una miriade di emozioni gli lambivano il viso. Rilessi due volte quel passo, soffermandomi più volte sul nome dello stregone al quale Mather addebitava gli incubi di Emily Walcott, ma faticai ugualmente a credere a quel che leggevo.

Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle pagine, e se in un accesso d'ira John non avesse calato il pugno sul tavolo avrei continuato a rileggerlo all'infinito.

Il cordoglio che quella notte colse entrambi fu lo stesso che si prova nell'apprendere della morte di un genitore. Lasciammo che il rogo di rabbia e pena che quella scoperta aveva appiccato nei nostri cuori ardesse libero, e quando non trovò più nulla da cui trarre nutrimento ne contemplammo le ceneri. Ed alla fine, da quelle ceneri, vedemmo sbocciare qualcosa di inaspettato.

Riempimmo la notte dei ricordi più dolci e divertenti che la memoria ci offriva, e il riso ci colse impreparati quando ci soffermammo sui modi canzonatori che Amos usava con Deliverance. Ci guardammo poi, occhi negli occhi, e vidi in quelli di John la stessa domanda che doveva albergare nei miei.

«Credi che anche lei...» iniziò John, ma non riuscì a finire.

«Non lo so», risposi. «Prego Dio che abbia avuto una sorte migliore.»

Lo sguardo di John andò al libro che avevo posato sullo scrittoio. Si alzò di scatto ed andò a recuperarlo, sordo alle mie rimostranze. Lo sfogliò da cima a fondo, ma per grazia di Dio non trovò ciò che cercava. Sospirò sollevato, ripose il libro e mi informò della sua volontà di disfarsene. Non potei che concordare.

Trascorremmo ancora qualche ora immersi nei ricordi di quegli ultimi giorni trascorsi al Village, in una casupola che, se chiudo gli occhi, riesco ancora a vedere. Vorrei poter dire che il giorno più lieto fu quello in cui ci lasciammo tutto alle spalle, ma sarebbe vero solo in parte. La verità è che abbandonare quel tepore domestico fu per noi motivo di cordoglio. L'affetto per Amos e Deliverance era cresciuto, e l'idea di lasciarli ci riempiva di sconforto.

C'era poi una paura più furtiva, che entrambi avevamo riconosciuto ma che eravamo restii a confessare per tema di aggravarne il patos: la paura di ciò che ci attendeva fuori da quelle mura.

La notte della nostra partenza, Deliverance volle farci dono di un mezzo di trasporto: un carretto trainato da un robusto mulo. Amos ci venne incontro mentre ci preparavamo a partire e mise nelle mani di John il sacchetto con le monete che l'amor mio aveva sottratto a suo padre.

«Dove hai la testa?» disse. «Stavi dimenticando il bottino.»

Mi avvicinai ad Amos e lo abbracciai. «Grazie», dissi, posandogli un bacio sulla guancia sbarbata. «Sei un angelo.»

«Magari lo fossi», rise lui. «Userei le mie ali per prendere il volo da questo posto.»

«Amos Putnam», disse Deliverance, posando una mano sulla spalla del vecchio reduce, «come faremmo senza di te?»

Sorrise e lo baciò sulle labbra. Amos si strofinò la nuca imbarazzato.

«Grazie», disse John. Gli tremava la voce. «Non so come avremmo fatto senza di te... senza di voi.»

Amos l'abbracciò. John non si mosse e, quando Amos lo strinse a sé, lo udii piangere sommessamente. Dopo un attimo io e Deliverance ci unimmo a loro, e trasformammo quell'abbraccio in qualcosa di speciale ed indimenticabile. Quando ci dividemmo avevamo tutti le guance umide.

«Ora sarà meglio che andiate», disse Amos.

Montammo in cassetta e John impugnò le briglie.

«Venite con noi», disse John.

«Sai bene che non possiamo», rispose Amos.

«Perché?» chiese John, ed in quella domanda sentii vibrare una collera inaspettata.

«Perché due vecchie tartarughe come noi non hanno sufficienti energie per affrontare un viaggio del genere e tutto quel che ne conseguirà.»

John continuò a guardarlo, le labbra contrite. Amos sorrideva amareggiato. John sospirò, e in quella posa vidi riflesso il fantasma dell'uomo che sarebbe diventato.

«Quasi dimenticavo», disse Amos.

Si portò una mano alla schiena e sfilò dalla cinta una pistola. La allungò a John, che dopo un attimo di indecisione la prese e se la rigirò fra le mani.

«È carica. Non posso offrirti più polvere da sparo di quella che ci ho messo, ma ci puoi sparare due colpi. Vedi di non sprecarli», disse Amos. «Mi auguro che tu non abbia bisogno di usarla, ma se qualcuno, uomo o bestia che sia, avesse a minacciare le vostre vite, non esitare.»

John lo guardò con aria grave. «Non lo farò», disse.

Amos annuì soddisfatto. «Addio, ragazzi miei», disse poi.

«Abbiate cura l'uno dell'altra», disse Deliverance.

«Addio», rispondemmo all'unisono.

Poi John strigliò le briglie e il mulo iniziò a tirare il carretto.

Lasciammo il Village scortati dal velo di una luna tonda e bianca come una perla mangiucchiata, e non ci voltammo indietro. Se lo avessimo fatto, forse non saremmo riusciti a proseguire oltre il piccolo orto al quale Deliverance attingeva per i suoi intrugli.

Il viaggio che ci condusse fino a Boston fu lungo e non privo di insidie. John fu costretto a impugnare la pistola in due occasioni: una prima per scacciare via un branco di lupi che aveva sconfinato sul sentiero pestato dal mulo, ed una seconda per proteggere le nostre persone da una coppia di briganti. Ne ferì mortalmente uno. L'altro, un uomo con il volto segnato da una profonda cicatrice, si diede alla fuga.

Ricordo che quando giungemmo in vista di Boston il nostro cuore si riempì di gioia, e i fantasmi di Salem persero di colpo consistenza. Al tempo in cui io e John eravamo due giovinetti, Boston non era tanto diversa da come è oggi. Una città in espansione, con una schiera di costruzioni imponenti. Io e John ne restammo sorpresi. Era completamente diversa dalla colonia nella quale eravamo cresciuti. Persino l'aria che si respirava era differente. Lì avremmo avuto una seconda opportunità.

Ci fermammo un attimo a contemplare i confini della città, poi vi entrammo.

Altre prove affrontammo prima che la fortuna venisse a bussare ai nostri usci, e vorrei davvero scrivere dei Goodwin, la famiglia che mi prese a servizio come governante, e di Taddeus Miller, l'anziano ciabattino che prese John a lavorare presso la sua bottega, ma impiegherei un'altra notte per esaurire le tante vicende che la memoria riesumerebbe.

L'alba sta per sorgere, e questa povera vecchia ha bisogno di ritemprare i sensi e il corpo con una buona dormita.

Se il Signore me ne darà licenza, siederò ancora a questo tavolo.

Il diario di Mercy BrownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora