32.

164 13 1
                                    

La notte trascorse come un lungo incubo in cui il sopraggiungere dell'orrore conclusivo tarda a palesarsi e si disperde nelle pennellate di luce di un nuovo mattino. Mi ero da poco appisolata quando uno sferragliare mi ridestò. Prima che me ne rendessi conto, quattro mani dalla presa salda come quella di una tagliola mi tirarono su e mi trascinarono fuori da quella stalla dove Keene stipava i puritani sospettati di adempiere il volere del Diavolo. Udii le proteste di Abigail, subito zittite da un minaccioso rimbrotto. Oltrepassai la soglia e la porta di solido ferro si richiuse alle mie spalle.

Mi condussero lungo un corridoio debitamente illuminato e, quando chiesi ai due uomini che mi accompagnavano dove mi stessero portando, non ottenni risposta alcuna.

Fuori della prigione c'era un piccolo calesse trainato da un mulo. Uno dei miei accompagnatori mi legò i polsi mentre l'altro montava in cassetta e prendeva le redini. Fui aiutata a montare sul pianale e partimmo sobbalzando alla volta di Salem.

Ciò che ricordo di quella lunga e tediosa passeggiata mattutina è il cielo. Sgombro e sconfinato, che a guardarlo troppo a lungo ti sentivi risucchiare nell'azzurro. Vidi uno stormo danzare nell'aria e desiderai esserne parte, così che avrei potuto volare via, lontano dal tremendo destino che mi attendeva.

Quando il calesse si inoltrò nel cuore della città, faticai a reggere gli sguardi di coloro che incrociavano il nostro cammino. Chinai il capo e lo sollevai solo quando il mulo rallentò la sua andatura. L'uomo che mi stava accanto mi aiutò a smontare e, quando mi decisi a sollevare il mento, mi ritrovai dinanzi la Meeting House. Il campanile pareva un enorme dito intento a scandagliare le profondità della volta celeste. Mi serrarono le grosse mani sulle braccia e presero a spingermi. Sospinsero i battenti e mi ritrovai gli occhi di tutta la congrega puntati addosso. Le ginocchia minacciarono di cedere sotto il peso di quegli sguardi indagatori e, se non fosse stato per quei due, sarei di certo crollata.

Ai piedi del pulpito stava un uomo dall'aspetto severo. Il suo viso era affilato e senza espressione, ma gli occhi dicevano ciò che lo sconosciuto nascondeva sotto una coltre di apparente impassibilità. Indossava abiti raffinati, spazzolati con cura, e i suoi capelli conoscevano il tocco del pettine.

Nel vedermi arrivare si fece da parte, rivelando una sedia alle sue spalle.

I miei aguzzini allentarono i legacci che mi serravano i polsi, ma solo per il tempo che gli occorse ad assicurarli ai braccioli della seggiola. Una volta terminato il lavoro, si allontanarono.

Lo sconosciuto prese a camminare. Passi lenti e studiati. Il suono dei tacchi sul legno levigato si disperse per la stanza, raggiungendo gli orecchi dei presenti.

D'improvviso si fermò per rivolgersi alla congrega.

«Il Governatore in persona mi ha mandato», disse, «per estirpare il seme del male che, stando a quanto mi fu detto, pare aver attecchito come accadde nell'antica Sodoma.»

Mormorii sparsi si levarono dalla congrega. Le prime file erano occupate dai membri del consiglio. Hawthorne mi fissava con odio infernale. Vidi Parris, seduto tra gli astanti, il viso accartocciato, e ci misi poco a capire chi fosse quell'uomo che infarciva di citazioni bibliche la sua raffinata retorica.

Si trattava di Cotton Mather.

Abigail era convinta che sarebbe presto giunto a Salem. Aveva ragione. Era lì di fronte a me, che mi dava le spalle mentre faceva andare la lingua, attirando gli sguardi dei presenti.

«Sono giunto sin qui per porre fine alla tremenda...»

Mentre Mather parlava mi accorsi di qualcosa. Da una delle alte finestre laterali vedevo uno scorcio del mondo esterno, e c'era come una sottile foschia che aleggiava oltre i vetri... o almeno a me parve tale. Solo quando Joseph Andrews spalancò i battenti dell'ingresso ed entrò come una furia, compresi cosa stava accadendo.

Il diario di Mercy BrownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora