28.

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Il resto della giornata trascorse in modo lento e uniforme. Sulle teste di entrambi gravava una nube che nessun vento pareva in grado di spazzare. In uno dei pochi momenti in cui John emerse da quel suo grigiore interiore, mi confidò di aver appreso che la nave sulla quale contavamo di imbarcarci sarebbe giunta a Salem nel giro di tre o quattro giorni. Non mi spiegò in che modo avesse carpito tale informazione ed io non chiesi.

Venne la notte e le voci si levarono dagli angoli più remoti di quella selva aspra e misteriosa. Il nostro sonno fu interrotto più volte da lamenti funerei e mormorii incomprensibili. Fonemi umani si fondevano a versi animaleschi in modo grottesco. In due occasioni John si svegliò convinto di aver udito una voce simile a quella di sua madre che lo chiamava.

«È ancora viva, Mercy! L'hanno sepolta viva!» gridava.

Riuscii a convincerlo che si trattava solo di un incubo, e che quella che credeva essere sua madre altro non era se non una delle tante voci che vorticavano intorno alla capanna. Quando si riaddormentò vegliai sui di lui, e la notte trascorse. Le prime luci del giorno costrinsero le voci alla fuga e, quando quei tremendi mormorii svanirono, il sonno mi prese tra le sue braccia e mi cullò fino a mattino inoltrato.

Quando mi destai ero sola. Uscii e mi incamminai verso la rosa.

Arrivata lì, trovai John seduto accanto al fiore. Teneva il capo poggiato sul tronco alle sue spalle, gli occhi chiusi. Una brezza fresca gli agitava i capelli sulla fronte. Sollevò le palpebre quando mi sentì arrivare. Il fantasma di un sorriso gli tirò in su gli angoli delle labbra. Sorrisi a mia volta e gli sedetti accanto.

«Non preoccuparti, ho pensato io a lei», disse, e rivolse uno sguardo affettuoso alla rosa. «Sei riuscita a dormire?»

Lo rassicurai che il mio era stato un sonno ristoratore.

«Non ricordo molto di ieri», mi disse. «Ѐ tutto confuso, come un sogno. Ricordo mia madre avvolta nel suo sudario... da lì in avanti è tutto coperto da una strana foschia. Ricordo però le voci e come tu ti sia presa cura di me.»

Mi posò un bacio sulle labbra.

«Grazie», disse.

«Ho solo ricambiato il favore», risposi.

«Oggi tornerò a Salem», mi informò. «Devo parlare con Abigail.»

Mi spiegò che doveva fare qualcosa di molto importante. Quando chiesi di cosa si trattasse, rispose: «Vorrei che mi portasse il pettine di mia madre. Forse penserai che sia stupido, ma ho bisogno di qualcosa che tenga vivo il suo ricordo, e quel pettine è l'unico oggetto che mi leghi a lei... o meglio, al suo ricordo. Quando ero molto piccolo, mia madre mi raccontava che era stato creato usando il guscio di una creatura marina. E mentre mi rimboccava le coperte, inventava storie che avevano come protagonista quell'abitante degli oceani.»

Mi guardò. Quel che scorsi nei suoi occhi fu una grande tenerezza.

«La chiamava Turtle, ed ogni storia iniziava sempre allo stesso modo: "Turtle nuotava nei vasti oceani, agitando le grandi pinne..."»

Sorrise, forse al ricordo della voce materna che decantava le avventure di Turtle.

«Non sei stupido», dissi. «E neanche il tuo desiderio lo è.»

Tornammo alla capanna. John mangiò un boccone e andò via.

Tornò con notizie terribili.

«Abigail è stata arrestata», mi riferì.

Pensai subito che Hawthorne doveva aver in qualche modo scoperto che Abigail ci aveva offerto il suo aiuto. O forse qualcuno l'aveva vista confabulare con John ed era corso a riferirlo ad Hawthorne. O magari Charity...

Il diario di Mercy BrownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora