Sbirciammo appena dal nostro nascondiglio. L'uomo era fermo sul pontile, le gambe leggermente divaricate e le braccia incrociate sul petto. La luce della torcia lo cingeva per metà e ci accorgemmo che aveva una pistola con sé. L'impugnatura spuntava da una fondina di cuoio assicurata alla cintura. Aveva anche un corno, che portava al collo come un medaglione. Gli pendeva sullo stomaco, ed era delle dimensioni della pistola.
Riparammo dietro la casa e cercammo di architettare qualcosa. John pensò di usare una delle cime legate al pontile per salire a bordo della nave. Non rappresentava una grossa sfida per lui. Quando errava per i boschi si divertiva ad arrampicarsi sugli alberi e poteva usare quell'abilità appresa durante i suoi vagabondaggi per salire sull'Olimpia. Una volta a bordo avrebbe convinto il capitano a prenderci a bordo in cambio delle monete trafugate.
Ma finché quel cane da guardia assoldato da Hawthorne restava lì, non avevamo possibilità di fare alcunché.
«Ascolta», dissi. «Credo di aver trovato un modo.»
Spiegai a John quel che avevo in mente e lui oppose alla mia idea un fermo diniego. Non voleva che fungessi da esca, ma lo convinsi che non c'era altro modo.
«Tornerò a prenderti», mi disse.
«So che lo farai», risposi. «Ora va'.»
Mi baciò e riparò nello spazio che divideva due abitazioni.
Sedetti, afferrai un lembo delle vesti e lo strappai con decisione. Recuperai un rametto secco e lo usai per graffiarmi braccia e gambe. Una volta finito lo gettai via. Prese un respiro e iniziai a gridare. L'uomo che stava di guardia non ci mise molto ad arrivare. Non appena girò l'angolo, John sgattaiolò via in silenzio.
«Che diavolo...» disse, guardandomi.
Lo vidi mettere mano al corno che gli pendeva sullo stomaco, e allora mi alzai e gli corsi incontro, ordinando agli occhi di spillare una o due lacrime e fingendomi preda della più nera disperazione.
Gli piombai addosso e lo strinsi a me mentre dalla casa giungevano i primi rumori.
«Mi hanno sorpresa alle spalle e uno di loro mi ha scaraventato a terra, e mentre mi teneva ferma l'altro ha provato a...»
Schiacciai il viso sul petto dell'uomo e piansi. È sorprendente quel che siamo capaci di fare quando le avversità ci mettono all'angolo.
Lui provò a scostarmi con gentilezza ma non glielo permisi. Allora si fece più deciso e alla fine fui costretta ad assecondarlo. Mi guardò. Non riuscii a interpretare quello sguardo. Non era ciò che mi aspettavo di leggergli in volto.
«In quanti erano?» chiese.
«Due», dissi. Mi girai e puntai il dito nella direzione opposta a quella del pontile. «Sono scappati da quella parte.»
Mi teneva a distanza, le mani sulle spalle, e mi scrutava con attenzione. Guardò i graffi sulle braccia e la veste strappata.
«Come ti chiami?» domandò.
«Dorothy Lewis», mentii.
Mi scrutò con sospetto e disse: «Gli unici Lewis che conosco sono Jebediah e Sarah Lewis. E so che non hanno figli.»
Mi afferrò un polso. Presa dal panico mi arrischiai a una manovra folle, allungandomi alla ricerca della pistola, ma fu lesto a scostarsi. Arretrò di un paio di passi ed estrasse quel suo archibugio di morte, puntandomelo contro.
«Ferma lì. Se ti avvicini di un solo passo apro il fuoco», disse. Da come mi guardava capii che non mentiva. «Sapevo che c'era qualcosa di strano. Perché questa messinscena?»
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Il diario di Mercy Brown
RomanceTheresa entra in possesso di un antico manoscritto: il diario di una donna vissuta nella Salem puritana. Tra orrori soprannaturali e uomini senza scrupoli, compagni di viaggio inaspettati e la nascita di un amore senza tempo, Mercy rievoca la sua ro...