dieci.

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«Sei Fabrizio o é un'allucinazione?» mi chiese strizzandosi.

«purtroppo sono realmente io. Mi dispiace esserti venuto a trovare qui.» Lui sospirò ed alzò lo sguardo dritto al soffitto. «beh? Cosa mi hai combinato?»

Ritornò a non rispondere e il suo comportamento cominciò a darmi fastidio. Sembravo bipolare, prima lo adoravo poi mi saliva l'istinto omicida. Restammo in silenzio per un tempo che a me sembrò moooolto lungo, finché fu lui a parlare. «ti ho visto ieri sera.»

«dove?»

«in piazza.»

Mi tenni davvero a non sputarlo in faccia. «mi hai visto e non hai pensato magari che, avendoti fatto quel discorso sul 'non sei tu sbagliato, ma gli altri' sarei rimasto deluso e non poco?» Non rispose per l'ennesima volta nonostante sembrasse in parte dispiaciuto. Era facile fuggire da ogni difficile domanda con del semplice silenzio. «parliamo d'altro, non sono venuto qui per questo: come stai? Cosa ti hanno fatto?»

«Ora sto bene, mi rimettono stasera. É stata solo una leggera botta.»

Una leggera botta che ti ha costato l'ospedale, pensai.

«immagino.» dissi. «non avresti potuto evitarlo?»

Ecco di nuovo il silenzio che calava fra di noi, sembrava un'abitudine ormai. Una situazione d'imbarazzo, sentivo come se dovessi cercare di remare nella conversazione perché il silenzio fosse unicamente colpa mia e delle domande che facevo. «non so, ehm-»

«perché te ne importa cosí tanto di me?»

Lo fissai dritto negli occhi e lui fissò me, per la prima volta intensamente. Pensai di dover vedere l'orario per farci un anniversario, ma subito mi concentrai sulle sue parole senza rispondere. Forse era perché neanche io sapevo la risposta.

«non credo di essere stato mai seriamente nessuno per qualcuno, non sono mai stato niente. Per molti non ho neanche il nome.»

«credevo che lo dicessi solo a coloro di cui ti fidi...»

«In parte, ma lo dico soprattutto a coloro che sanno che ho un nome, che esisto. E tu lo hai saputo dal primo momento. Come hai fatto?»

«hai bussato tu alla mia porta.»

«ho bussato alla porta di tutto il paese, con gli stessi occhi e le stesse mani con cui ho bussato alla tua, ma non sono mai esistito per nessuno e se esistevo facevo schifo. Solo tu mi hai saputo vedere e solo con te posso parlare. Non so cosa io stia davvero ancora aspettando.» vidi nella sua voce un universo di dolore.

«te lo dico io quello che tu stai aspettando: una persona che ti voglia bene, nonostante...te. Ed io ci sono, se solo mi permetti di aiutarti, cosa c'é che non va? Perché fai quelle cose in piazza anche tu? Ne vuoi parlare?»

«non credo di riuscirci, non so cosa sia che non va: un po' tutto. É solo che ho paura del Mondo, e con Mondo intendo tutti gli esseri umani, ma non li incolpo di avermi reso distruttibile, perché forse avranno ragione a trattarmi cosí. Forse realmente non valgo niente, ma non ce la faccio a continuare cosí.»

«tu non ti vuoi bene Ermal. Ma stai tranquillo, perché tutto il bene che tu non ti vuoi, te lo voglio io.»

Vidi una lacrima uscire dal suo occhio, scendere fino alle labbra e scomparire nella fessura della bocca. Sentii i miei occhi bruciare come colpiti da pesantissime martellate, li sentii poi piú leggeri ed offuscati. Lui sorrise ed io sorrisi, dalla sua pupilla uscí una luce che finí nella mia, penetrandomi nella gabbia toracica e fermandosi proprio sul cuore.

Mi girai di spalle cercando di non far fuoriuscire piú lacrime e sembrare un uomo forte, nella stanza si sentivano solo i nostri singhiozzi. Non avevo mai pianto seriamente cosí per qualcuno, a parte per le morti dei miei cari, e non mi ero mai sentito cosí vuoto prima d'ora, neanche quando decisi di terminare la mia relazione con la donna con cui stavo da dieci anni.

Il ragazzo delle pizze. || MetaMoro || (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora