IX. Giada

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24 Agosto 2018

Il candido soffitto della mia stanza, debolmente illuminato dalla piccola abatjour sulla mensolina, a fianco del letto, non mi è mai sembrato così interessante. Bianco, senza sbavature nè imperfezioni, semplicemente perfetto. Lo sto studiando ormai da ore, senza trovare nulla di irregolare, nemmeno una pennellata fuori posto. Il telefono segna che sono le quattro del mattino. Sono certa che fosse da poco rintoccata la mezzanotte, quando avevo chiuso la porta della camera per addormentarmi, peccato che sia ancora qui, con l'immagine di quanto accaduto pochi giorni fa, ancora davanti agli occhi.

Ricordate l'aperitivo che Alice e i suoi amici hanno organizzato per darmi il benvenuto? Ecco. È lì che è cominciato il casino, una settimana fa.

L'allegra comitiva della mia coinquilina era appena arrivata, sollevandomi da quell'imbarazzo con Simone. Talmente emozionata per aver davanti il palleggiatore titolare della Nazionale, nonchè mio idolo da anni, avevo avuto difficoltà persino a dirgli come mi chiamassi.

Una cretina, imbambolata, come le ragazzine che, al termine della partita, dopo essere riuscite a scattarsi una foto insieme al loro giocatore preferito, quasi svengono per l'emozione, ecco cosa avranno visto gli occhi del pallavolista. In realtà, tutti i tasselli trovavano perfettamente posto nel puzzle, a partire dall'età di Alice, fino alla sua facoltà universitaria. Ci sarei potuta arrivare, soprattutto quando ha detto che fosse già fidanzato.

Io, ovviamente, persa nel mio mondo di parole, troppe, non me ne sono curata più di tanto, per finire davanti a lui, senza sapere che pesci pigliare.

La serata trascorse senza grandi colpi di scena. Un normale aperitivo tra amici, in un locale semplice, con buona musica, in cui dopo cena si può anche ballare un po'. Nulla di strano, no?

E allora perchè, a distanza di una settimana, io sono ancora qui a parlarne? Immagino che questa sia la domanda che sorge spontanea a qualsiasi persona sana di mente.

Dopo l'imbarazzante figura e, dopo aver ristabilito un colore in faccia che non tendesse al rosso pomodoro, ma si limitasse ad un rosa acceso, iniziai a conversare con gli altri ragazzi del tavolo.
In realtà parlai soltanto con Beatrice e Giorgio, più estroversi degli altri, che cercarono di aiutarmi anche ad inserirmi nelle conversazioni, senza farmi sentire troppo estranea.
Ogni tanto lanciai qualche sguardo verso Simone, non per flirtare o cose del genere, ma semplicemente per realizzare che fosse realmente lui.

Lui, che a quindici anni ha fatto il suo debutto in Superlega, complice un infortunio del primo palleggiatore, durante la finale dei play off.
Lui, che a un mese dalla maturità è stato nominato mvp della fase finale del campionato, portandosi a casa un bellissimo scudetto.
Lui, che ha umanamente sofferto la troppa pressione durante la finale olimpica contro il Brasile, non riuscendo ad essere lucido fino in fondo, come avrebbe dovuto.
Lui, che fa sempre facce assurde, guadagnandosi la fama di meme vivente, come sono solite chiamarlo Emma e le altre ragazze della squadra.

Lui, che mi ha dimostrato che, se si crede nel proprio talento e si è pronti a dare tutto, si possono realizzare i sogni.
Lui, che ha fatto dell'imprevedibilità il suo marchio di fabbrica: secondi tocchi inaspettati, un'intesa eccellente coi propri attaccanti, una visione sempre chiara di quale alzata potrebbe essere la migliore per chiudere subito il punto, un servizio non troppo potente, ma preciso, in grado di mettere in difficoltà gli avversari, quando non lo sbaglia, certo. L'errore è sempre dietro l'angolo e lui, come quasi tutti i giocatori di Trento, sembra avere una calamita per i servizi in rete, o lunghi di dieci metri.

- Allora, come ti sembra Trento?- domandò Paolo.

Apprezzai il suo tentativo, il tempismo un po' meno.

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