XXXII. Matteo

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24 ottobre 2018

Non mi piace fare tanti sproloqui, penso si sia capito, anche se mi conosci da sì e no due mesi.
Un uccellino tecnologico mi ha detto che oggi è il tuo compleanno. Ventotto anni sono tanti, dovrei iniziare a definirti vecchietto. Oggi, però, sarò buona, facendoti solo gli auguri. Ti ho già umiliato l'altra sera, non voglio rigirare il coltello nella piaga, presentandomi di persona a cantarti happy birthday con la mia voce da futura popstar, come l'applicazione recita.
Ok, forse l'ho appena fatto, ma te lo meriti. Dopo avermi quasi azzoppata, investita e sconfitta una volta, renderti pan per focaccia era il minimo che potessi fare.

Considerando come abbiamo iniziato, non credevo saremmo diventati amici, perchè sei troppo orgoglioso. E in effetti lo sei, ma devo dire che io non sono da meno. Ovviamente negherò di averlo mai detto, ritienilo un regalo. In realtà, io e te siamo molto simili, più di quanto vogliamo ammettere e la cosa mi spaventa.

Ormai mi stai anche simpatico e competere con te è un passatempo molto divertente, anche se sui soprannomi direi che fai abbastanza schifo. Accidenti, sto dicendo troppe cose belle, se va avanti così potrei pure finire per dirti che quando non hai quei baffi tremendi sei anche carino. Ok, sto decisamente parlando troppo.

Forse è il caso che metta via la penna e chiuda questo foglio, altrimenti potresti pensare che sono una persona romantica e no, non è affatto il mio caso.

Buon compleanno, Re del Sushi.

Emma

27 ottobre 2018

Rileggo per la centesima questo cavolo di biglietto, che continuo a rigirare nelle mani e che ormai so recitare a memoria.
Sono passati tre giorni. Settantadue ore. Quattromilatrecentoventi minuti. Duecentocinquantanovemila secondi.
Io sono ancora qui, che mi divido tra gli allenamenti e casa, con la testa ferma ancora a mercoledì sera.

La fuga di Emma, dopo quel bacio, mi ha fatto tornare a casa con sentimenti contrastanti e preoccupato a quello che avrei trovato all'interno del biglietto che avevo messo in tasca. Avevo le dita che tremavano, mentre cercavo di aprire quel foglietto, ed è stato al termine della lettura che ho iniziare a sorridere come un deficiente, in una via di mezzo tra la gioia e l'incertezza, visto che non era stata molto chiara con quelle parole. Cosa sono per lei? Un amico, un conoscente, una persona per cui prova qualcosa in più? Non capisco. Sembra che si volesse contraddire da sola con le sue stesse frasi, come se stesse combattendo con se stessa mentre scriveva.

Forse, se la chiamassi, potresti scoprirlo.
Grazie, cara coscienza. Se fosse così semplice lo avrei già fatto, non credi?
Se anche le telefonassi, cosa potrei dirle? Dovrei chiederle di vederci, ma poi scapperei a gambe levate o mi ammutolirei, come al nostro primo caffè. No, non si può proprio fare.

Parlando da solo con la mia malefica vocina, sono arrivato a oggi, senza concludere nulla. Non ho più sentito Emma. E sono un coglione per questo. La verità è che non sapevo cosa dirle. Avevo paura di dire la cosa sbagliata e, conoscendomi, sarebbe stato fin troppo semplice, quasi ovvio.
Lo volevo dannatamente quel bacio ed è stato bellissimo, seppur troppo breve. Sapevo che dovevo cogliere la palla al balzo, quando lei si fosse avvicinata per salutarmi e così ho fatto. Lì per lì sembrava felice, ma poi è scappata in quel modo, lasciandomi come un cretino in mezzo alla strada.
E io non sapevo, non so, come interpretare quel gesto. Probabilmente ho corso troppo.
Visto che repetita iuvant, se le scrivessi, potresti scoprirlo.

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