XXX. Emma

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Visto il prolungato tempo trascorso dall'ultimo capitolo Mattemma, anche in questo caso desidero farvi un mini riassuntino delle puntate precedenti.

Romina è tornata a casa per il weekend, nella sua Torino, affrontando anche tanti ricordi legati al suo passato. In quel di Busto Arsizio, invece, Emma è andata a casa di Matteo, per una rivincita al karaoke e una cena a base di sushi. Tra i due sembra ormai essere nata una certa complicità, un'attrazione, forse.

Ed è proprio dalla gara di karaoke che riprende la vicenda.

Io mi paleserò nuovamente alla fine del capitolo.

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22 Ottobre 2018

Lo avevo detto che quella di Matteo era stata semplicemente la fortuna del principiante. L'ho amorevolmente ed elegantemente asfaltato, pur permettendogli di conservare la dignità, vincendo un round, il secondo per essere precisa. La disfatta gli brucia, lo so, mentre per me il sapore della vittoria ha una dolcezza soddisfacente. Non smetto di sorridere, mentre lo guardo fissare incredulo lo schermo della televisione, come se cercasse un qualche errore nei risultati elaborati dall'applicazione dell'intonazione.
Non è solo per il trionfo che continui a sorridere come una cretina, ma continua pure a fare finta.

Ora, come già previsto, è passato, in rigoroso silenzio, ad affogare i suoi dispiaceri nel cibo, ingurgitando cucchiaiate di gelato alla nocciola, una dopo l'altra.
- Come fai a mettere ancora altro cibo dentro allo stomaco? Non ti senti scoppiare? -
Alza lo sguardo, puntandolo sul mio volto.
- Vedi, cara Emma, devi sapere due cose fondamentali: innanzitutto, per il dolce uno spazietto c'è sempre, anche se sei pieno da star male; secondariamente, io metabolizzo il sushi ad una velocità piuttosto elevata, il che mi permette di avere rapidamente una parte di stomaco libero anche per concedermi altro. -
Sul mio viso lascio comparire un ghigno, quello tipico delle accensioni delle lampadine nel mio cervello.
- Perfetto - replico in maniera quasi apatica, piatta.
- Cosa è perfetto? -
- Che adesso ho il tuo nuovo soprannome: Re del sushi. -
Le labbra di Matteo si incurvano in un sorriso. - E da quando anche tu dai soprannomi? -
- Da quando ho voglia di darti fastidio. -
- Ma a me non crea alcun problema, anzi. -
Continua a sfoderare quel sorrisetto compiaciuto, che gli toglierei volentieri dandogli un bello schiaffo.
- Mi togli il divertimento così. -
- Mi sembra il minimo, dopo che mi hai rubato il titolo di "futura popstar" - replica, quasi offeso. È sempre lui a tentarmi. E resistere alle tentazioni sul cibo, per me è difficilissimo. - Dai, fammi compagnia a far schifo. Prendi anche tu un cucchiaio e mangia un po' di questo gelato. Non vorrai farmi ingrassare da solo? -
- E invece sì. -
- Sei stronza. -
- Io sono buonissima, anzi, forse troppo - sorrido amabilmente. - Non ti chiedo neanche una penitenza per aver perso. -
- Quindi dovrei ringraziarti? -
- Beh, in realtà sì - rispondo con tono serio, anche se sotto i baffi sto ancora ridendo.
- E se non volessi farlo? -
- Beh, in quel caso ti costringerei ad ammettere, mentre vieni registrato, cheio sono migliore di te. -
- Grazie della tua bontà, Emma. -
- Oh, figurati! -
- Quindi sei veramente sicura di voler rifiutare un po' di questo cremoso e buonissimo gelato? Non sai cosa ti perdi. Anzi, dimmi dove lo hai preso, perchè è veramente buono. -
- Stai cercando di farmi cedere? -
- In realtà è la tua coscienza che vuole lasciarsi conquistare dalla tentazione, io le sto solo dando voce. -
- Non sono così debole, io. -
- Poi non dire che me lo sono mangiato tutto, senza offrirtene nemmeno un po'. -
Io lo odio, lo detesto. Profondamente. Matteo è veramente un diavolo tentatore, accidenti a lui.
- Oh, andiamo. Dove li trovo i cucchiai? -
- Vieni. -
Lo seguo, fino alla cucina.
Ti piace il suo fondoschiena, eh?

Matteo si ferma davanti al cassetto, mentre io mi lascio ipnotizzare dalle luci delle stelle e della luna che illuminano il cielo sopra di noi. Mi avvicino alla finestra, ad osservare quel tappeto luminoso, per cercare la mia stella: di poco alla destra della costellazione Cassiopea, quella con la forma simile a una w, c'è un piccolo astro non molto luminoso, ma visibile sempre. Non so come si chiami e nemmeno mi interessa saperlo, l'ho notato la prima volta pochi giorni dopo la morte di mio padre. Così, ho sempre pensato che fosse lui che, in qualche modo, voleva continuare a mostrarsi a me, per rendermi sempre cosciente del fatto che lui vegli costantemente su di me.
Anche oggi è proprio lì, al suo solito posto. Sembra emettere un luccichio leggermente più intenso, proprio mentre lo osservo. Ogni volta che ci penso mi accorgo che è ancora una cicatrice fresca: le ferite possono rimarginarsi, ma lasciano un segno tangibile e indelebile su di noi. Si può imparare a conviverci, ma non si può dimenticare. E io non voglio farlo.

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