Ok, forse avrei dovuto fare questa breve introduzione prima di pubblicare ben nove capitoli, ma per qualche motivo ho avuto paura di lasciarvi scoprire cosa quest'opera rappresentasse per me.
In questa storia vi narro le vicende di due ragazze, alle prese con la realizzazione del loro più grande sogno. Vi parlo anche di due ragazzi, che invece stanno già vivendo da alcuni anni, quella che credevano essere solo una rosea visione.
Perchè scrivere di pallavolo?
Perchè questo sport è stato per anni la mia vita, qualcosa di cui non potevo fare a meno. Uno sfogo, un mondo parallelo in cui essere me stessa. Lo so, è la stessa frase che avrete già letto altre mille volte, ma credetemi, non è una bugia.
Ho iniziato per moda: tutte le mie compagne di classe lo avrebbero iniziato quel settembre di quinta elementare e io non volevo essere diversa. Avevo scelto di smettere con la danza moderna, per lanciarmi in quest'altro mondo, completamente diverso.
Ricordo ancora le difficoltà nell'imparare a battere, o a spingere con le gambe quando dovevo fare il palleggio o il bagher. Però la voglia di migliorare era tanta, e io non vedevo l'ora che arrivassero il martedì e il giovedì, per andare all'allenamento.
Non fu un colpo di fulmine, tra me e il volley. Però il risultato fu che alla fine me ne innamorai. Iniziai a seguire la Serie A femminile con grande interesse ed ebbi anche la possibilità di vedere dal vivo qualche partita. All'epoca ero grande tifosa della Foppapedretti Bergamo, dove giocava Francesca Piccinini. Quando riuscii ad avere una foto con lei, che ancora è appesa sul mio armadio, ho pianto. Una di quelle gioie che capitano poche volte nella vita.
Ero in seconda liceo, quando le cose iniziarono a cambiare: allenatori nuovi hanno rivoluzionato completamente gli equilibri precari che si erano creati in una squadra neonata, creatasi dalla fusione di due team, con membri di età molto diversa tra loro. Non siamo mai state un gruppo unito e nessuno ci ha aiutate ad esserlo. Forse è anche per questo se le cose non sono andate come sognavo.
Un infortunio, proprio nelle vacanze di Natale, mi ha tenuta fuori dai giochi per oltre un mese e riprendere non è stato facile. Il mio fisioterapista diceva che dovevo smettere, che la pallavolo fosse lo sport peggiore che potessi fare per il mio ginocchio, ma io non lo ascoltai, continuando. Inutile dire che sempre più frequentemente la mia povera articolazione mi dava problemi, ma non è senz'altro questa la ragione della mia resa.
Arrivata in quarta superiore, le cose andavano sempre peggio, all'interno della squadra: le vittorie non arrivavano e gli screzi tra noi giocatrici e con gli allenatori non facevano che aumentare. Ero arrivata a un punto tale in cui non avevo nemmeno più voglia di giocare o di vedere le partite in televisione. Preferivo studiare, speravo sempre di avere una scusa per non andare in palestra. Quell'ambiente, ormai, non lo sentivo più come casa, come luogo sicuro, ma solo come un obbligo, quasi più pesante della scuola.
Ecco perchè ho smesso. A chi me lo chiede rispondo che ho scelto di concentrarmi sulla scuola, ma la verità è che non mi divertivo più. Ho deciso di appendere le ginocchiere al chiodo perchè non volevo arrivare ad odiare uno sport che mi aveva dato così tanto e stare lontano dal pallone bianco, rosso e verde, per qualche tempo, mi ha fatto ritrovare l'amore per quel passatempo che è stato protagonista di ben otto anni della mia vita.
Non ho mai ripreso a giocare, per tanti motivi, in primis per paura. Paura che riprendere mi avrebbe di nuovo portato al limite del detestare ciò che prima mi dava gioia.
Ad oggi resto una grande appassionata, che ha continuato e continua ad amare il volley, seguendo i professionisti in tv. Trento nei maschietti e Novara tra le donzelle.
Mi piace soffrire con loro, immaginare di essere lì con loro e di sentire ancora quell'adrenalina scorrermi nelle vene. Mi piace continuare a sognare, immaginando qualcosa che non potrà mai essere, ma che comunque mi fa spuntare un sorriso.
Perchè nel bene e nel male la pallavolo è vita. E' il mio passato, sicuramente il mio presente e, probabilmente, anche il mio futuro. Perchè quando hai amato sinceramente qualcosa o qualcuno, in un modo o nell'altro, lo amerai per sempre, nonostante tutto.
Simone e Matteo probabilmente li avete già visti in televisione, magari durante le scorse olimpiadi di Rio. Un palleggiatore e un centrale. Se ho mai sognato di essere al loro posto? Certo, chiunque si avvicini a questo sport credo lo abbia immaginato almeno una volta. La differenza? Non ci ho mai creduto davvero e, chiaramente, non ho mai avuto il talento sufficiente.
Giada ed Emma, le protagoniste di questa storia, hanno caratteri diversi, ma in qualche modo sono una parte di me. Romantica, sognatrice e timida una, determinata, ironica e sfacciata l'altra. Due caratteri profondamente diversi, quasi in contraddizione, che però le rendono uniche. Io ho dentro di me un po' di entrambe: sicuramente timida e romantica, ma anche determinata, ambiziosa e, a volte, anche un po' sfacciata, goffa, forse ingenua e insicura.
Ora basta con le presentazioni, vi lascio alla lettura.
Grazie a tutti coloro che leggeranno un pezzetto della mia anima.
Giulia
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Our destination
FanfictionLa vita di un pallavolista non è mai sedentaria: si viaggia da una parte all'altra dell'Italia, dell'Europa o del mondo, senza sosta. Creare dei legami profondi è difficile, soprattutto quando molti restano accanto soltanto per la fama e non per rea...