XXVII. Giada

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22 Ottobre 2018

« Amore, mi manchi. Quando vieni qui a Trento? Ho bisogno di te. Lo so che ultimamente non sono stata troppo presente, ma lo sai che ti amo. Non volevo trascurarti.»
Lorenzo mi tiene il muso da sei giorni.
E ha tutte le sue ragioni.
Ok. Me lo merito. Avevo promesso che lo avrei chiamato, ma poi mi sono limitata a scrivergli dei messaggi. Dovrei considerarmi una stronza, una pessima fidanzata. Dovrei anche avere dei sensi di colpa. Sì, ho usato il condizionale, perchè non è così che mi sento. Certo, non sentirlo mi manca, ma ho avuto i miei motivi per essere stata così distante. Oh, andiamo, per quanto continuerai a mentire a te stessa?
No. Non è per la distanza che sento aumentare tra noi. Non è per la necessità di avere uno spazio mio. Non è perchè, forse, non lo amo più. È solo perchè ho bisogno di trovare un equilibrio, il mio. Quando le condizioni cambiano c'è un momento in cui ci perdiamo, un momento in cui sentiamo di non avere punti di riferimento. Io sono nella fase in cui sono consapevole di necessitare di ristabilire una linea continua, di ritrovare una mia dimensione.

Voglio che Lorenzo ne faccia parte, ovviamente. Però sento che qualcosa è diverso: è come se, invece che viaggiare sulla stessa linea, ultimamente ci muovessimo su due binari paralleli, vicinissimi ma contemporaneamente lontani. Ho bisogno di comprendere a quale compromesso sono disposta a scendere, per ritornare a camminare insieme. Perchè l'amore è questo: non si può avere tutto, bisogna accontentarsi di qualcosa e fare continui piccoli passi verso l'altro. Fondamentale, però, è che questi siano bidirezionali e che non determinino l'annullamento di se stessi. Mi è capitato spesso di osservare come le persone, quando si fidanzano, si trasformino: improvvisamente diventano tutto ciò che non sono mai state. Io non so nemmeno come si possa raggiungere un tale punto. Non ci si dovrebbe arrendere prima? Io lo farei. Perdere la propria identità è qualcosa che non sono in grado di considerare, nè tantomeno di accettare.

« Ti amo anche io. E verrò lì il prima possibile, perchè dobbiamo parlare, ma penso che tu questo già lo sappia. »
Leggo il messaggio di Lorenzo, mettendo in stand-by per un attimo i pensieri che affollano il mio cervello ormai da giorni.
Sì. Lo so che dobbiamo confrontarci. No. Non sono pronta.
Sono così presa, che nemmeno sul fronte dello studio riesco a essere produttiva. Quando non sono in palestra mi chiudo in camera, o me ne vado in biblioteca, spengo il telefono e apro i libri, cercando di isolarmi da tutto e tutti. Peccato, però, che proprio quando le dispense sono lì, davanti ai miei occhi, io non riesca a metterci la testa. Le fisso, a volte le leggo anche, ma non entra nulla nella mia testolina.

« Sì. Dobbiamo parlare. A presto, amore. »
Odio questa freddezza, questa distanza, ma un timore di natura non ben definita mi blocca. È sempre stato tutto così semplice tra noi, troppo forse. Le difficoltà, però, ci aiuteranno a crescere, ci renderanno più forti e ci permetteranno di uscirne ancora più uniti e complici.

In una settimana le cose non si sono smosse di un centimetro da questa situazione di stallo.
- Giadina, ci sei? -
La voce di Alice è squillante, nonostante non siano nemmeno le nove del mattino.
- Arrivo, prendo la giacca e ci sono. -
Con il mio borsone blu e lo zaino grigio della mia coinquilina, ci dirigiamo nel bar vicino alla facoltà, per fare colazione insieme a Paolo e Beatrice. In realtà non è comodissimo per me, che devo andare al palazzetto; vista però la quantità di calorie che, probabilmente, sto per assumere, direi che un po' di moto non mi farà male.

- Ali, vuoi rallentare? Non dobbiamo fare una maratona! -
- Poi chi li sente quei due precisini là? -
- Hai proprio ragione, amica ritardataria! -
Paolo ci sorprende alle spalle, dandoci una pacca sulla spalla.
- Stavolta è colpa mia - affermo, alzando la mano in segno di colpevolezza.
- Hai già appreso quello che non devi fare? -
- Oh, no. Diciamo che la puntualità non è proprio il mio cavallo di battaglia. -
Penso a Emma, che odia così tanto perdere tempo, da non esser mai riuscita a rinunciare a controllare compulsivamente l'orologio in attesa del mio arrivo, nonostante conoscesse i miei canonici dieci minuti di ritardo, se non quindici.
- Vedi che non è sempre colpa mia? - domanda Alice, fingendosi offesa.
- È solo un caso, tesoro - replica Paolo, che nel frattempo si sbraccia per farsi notare da Beatrice, che si trova in fondo alla strada, col suo cappottino rosso fuoco.
Salutiamo la giovane morettina, andando poi a prendere un tavolo al bar.

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