CAPITOLO 10

140 6 0
                                    

la festa terminò verso le 3 di mattina, quando anche l'ultimo invitato se ne andò. Ero sfinita, avevo bevuto qualche bicchiere di birra, all'insaputa dei miei ovviamente, ma ero sobria.

Mia madre barcollando un po',stava sistemando il caos in cui la casa era ridotta. <<mamma, dai sistemiamo domani...>>dissi aggrappandomi alla ringhiera delle scale, fece finta di nulla, era proprio andata, papà si era addormentato in una ciotola di patatine fritte, povero papà, non era abituato a questo tipo di feste.

I classici bicchieri di carta da festa erano sparsi dappertutto in tutta la casa, persino sul gatto della nostra vicina, lo notai mentre stava attraversando il nostro giardino posteriore con in testa un bicchiere di carta, mi chiedevo come avesse fatto ad arrivare li...

La cucina, penso, era la stanza della casa più disastrata: c'erano resti di cibo e bevande da tutte le parti, meno male che doveva essere una calma festicciola tra amici.

Ero mancata poco da casa, ma mi sembravano essere passati dei secoli, sembrava esserci un aria diversa in giro, anche nel quartiere, ma forse ero io che mi stavo immaginando tutto.

Un pensiero mi trapassò il cervello “Miky?!” era un po che non lo vedevo a essere sincera incominciai a temere che se ne fosse andato, ancora, senza salutarmi come la prima volta:   *FLASHBACK*: scesi in cucina, l'aria era glaciale, sentii un brivido pervadermi lo stomaco che poi si aggiunse la pelle d'oca. Mamma era seduta e papà le stava affianco, teneva le mani fra i capelli e la testa china su un foglio, mentre mio padre teneva tra le mani una lettera chiusa. <<miky è già uscito oggi? Sono andata in camera sua e non c'era...>> l'ansia teneva il mio stomaco in una forte presa. Mio padre mi lanciò un finto sorriso e posò sul tavolo la lettera che teneva << è per te>> mi avvicinai lentamente al tavolo, il cervello e il cuore erano in una continua guerra: il cervello mi diceva di leggere il contenuto, il cuore che era meglio di no. Diedi ascolto al cervello.

“Cara sorellina...

come  avrai già intuito, non è di certo una lista delle cose da fare o comprare, diciamo è un arrivederci. Ho deciso di mettere queste quattro parole scritte solo per te perché so quanto tu sia fragile e sensibile sotto quel tuo sarcasmo, dietro al quale tu ti nascondi, so che è poco, ma vorrei che quando avrai bisogno di me queste righe ti aiutassero, perché, piccola Angelo, ho accettato il lavoro in Inghilterra. Dirtelo tramite questa lettera è da codardi lo so, non mi giustifico, ma so che una volta che ti avrei detto la mia partenza la tua fragilità e quei tuoi occhioni grigi mi avrebbero spinto a rimanere con te, ma io avevo il bisogno, diciamo, di spiccare il volo dal nido tesoro mio, sarà strano nelle notti di temporale svegliarmi non trovandoti tra le mie braccia, come un gattino terrorizzato. Mi mancherà arrabbiarmi con te, occuparmi di te e consolarti ad ogni pianto o litigio quale sia. Spero che mi perdonerai per averti lasciato in balia di quei demoni che ti distruggono dentro con mille incertezza stupide e brutti pensieri, Angelo promettimi che non lascerai che vincano loro, prometti che li sconfiggerai giorno per giorno, sei una guerriera sei forte, cavolo se lo sei! Ora sarà meglio che termini questa lettera o mi metterò a piangere come un bambino...

angelo sei e rimarrai la persona più importante per me al mondo. Ti voglio bene.

Tuo fratello.”

*FINE FLASHBACH* inutile raccontare come mi sono sentita i giorni a seguire.

Corsi d'istinto in camera sua, il cuore si placò, lui era li nel suo letto che dormiva beato. Dopo quel giorno non aveva più dormito a casa. Mi poggiai sullo stipite della porta a osservarlo, sapevo quanto avrebbe fatto male vederlo ripartire, non volevo dormire ancora con lui sentire il suo odore avrebbe riportato a galla emozioni che speravo non riemergessero mai più.

Tornai in camera mia presi il telefono: quattro chiamate perse da Colette e Dorian ed un messaggio in segreteria. Diedi ancora ascolto al cervello, con tutto il coraggio che mi era rimasto ascoltai il messaggio << un messaggio vocale: Angelo! So che non c'è scusa per quello che abbiamo fatto, ma ti prego torna! Perdonaci! Non posso perdervi ancora! Rispondi al telefono amore io... io non so più che fare per farci perdonare>> la nonna singhiozzava sentii una stretta al cuore. Non dovevo ascoltare. Grandi lacrime mi rigavano il viso, la gola bruciava ed in testa continuavano a risonarmi le parole di mia nonna tra un singhiozzo e l'altro. Incominciai a piangere, mi sentivo un mostro nonostante avevo la piena consapevolezza di non aver fatto nulla.

Aspettai che mia madre andò in camera per poi scendere, aprire la vetrinetta degli alcolici. Avevo solo sedici anni il cuore era a pezzi il cervello era incasinato più di quanto la mente di un'adolescente già non sia, l'unica cosa che sembrava dare soluzione a tutto era in quella bottiglia di brandy che tenevo in mano. In quel momento una affermazione di mio padre tornò a galla: “ alcune volte l'alcol supera ogni medicina” non sono mai stata una che beve tanto per fare, in vita mia ho solo bevuto birra e assaggiato vino niente di più, mai fumato nè sigarette nè quant'altro.

Poggiai le mie labbra inesperte su quella bottiglia e lasciai che il contenuto mi spianò le preoccupazioni e pensieri. Caro papino quanto avevi ragione.

It's our destinyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora