L'ultimo rintocco di mezzanotte

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La cosa che più adoro di lei sono i capelli. Lunghi, dorati, lucenti. Sparsi sul cuscino come un'aureola. La pelle candida, così traslucida che si nota il percorso delle vene. Gli occhi grigi opachi, ma con una vivace scintilla all'interno, nonostante la malattia infettiva.

Mi chiede sempre di raccontarle qualcosa. Fingermi un giovane medico era il miglior modo per arrivare più vicino alle persone, e nutrirmi senza destare sospetti inutili.

Lei stava morendo e lo sapeva. Le sue labbra, dapprima scarlatte, impallidivano ogni sera di più.

Quella sera, quando sua madre mi diede il permesso di salire nella sua stanza a visitarla, era in preda alla febbre. La vestaglia blu madida di sudore. Soffriva molto. Avrei voluto porre fine alla sua pena. Ma qualcosa, dentro di me, mi frenava. Avevo paura. Paura che lei mi mancasse.

«Viktor sto per morire, non è vero?» gli occhi socchiusi e gonfi dal pianto.

«Sì» pronuncia la mia bocca tremando, mentre poso la mia valigia vuota accanto al letto. Quando mi avevano chiamato mi ero precipitato lì in piena notte, senza darmi peso di prendere gli strumenti da lavoro.

«Resteresti con me?».

Annuisco e mi siedo al suo fianco. Le mie dita formicolano per l'impellente bisogno di farle una carezza, ma mi trattengo. Solitamente questo è il momento in cui mi nutro. Prima che i miei pazienti muoiano la loro emoglobina ha un sapore più dolce.

«Non so se fosse un sogno. Ma ieri sera mi sembrava che mi avessi rivelato di essere un sovrano. Il Conte. Qualcosa del genere». Tossicchia. Le porgo il consueto bicchiere d'acqua. Ophelia era troppo intelligente per fingere di non capire, nemmeno in condizioni critiche come queste. Era forte, tenace, e piena di voglia di vivere, anche se costretta in quelle quattro pietose mura.

Sarebbe stata una compagna perfetta. Se non fosse stata umana. Cerco di sorriderle ma non so esattamente cosa dirle. «Andrò in un posto migliore?» mi domanda alla sprovvista, dopo aver bevuto avidamente. Annuisco ancora. I miei occhi si calamitano nei suoi.

«Ma non può esserlo senza di te» dice piano, in un sussurro. I mesi passati insieme mi scorrono davanti. Intensi, come mai lo è stato prima uno dei miei giorni eterni.

Mi chino su di lei, con la consapevolezza che trasformare un umano in vampiro comporta la perdita dell'immortalità. Ma il desiderio di passare ancora del tempo con lei è più forte. Le premo la mano sulla bocca per mutare il suo dolore e affondo i canini nella sua pelle morbida. Profuma di lavanda. Sto attento a non succhiare il suo sangue, anche se lo bramo da quando l'ho vista. Sento le sue mani tirarmi i capelli.

Don. Don. Don. Il campanile del villaggio suona la mezzanotte. Rintocco dopo rintocco la sua presa si fa meno salda. Quando mi sollevo, lei si è addormentata. Bella come un angelo della notte. Le guance nuovamente rosse di vita. Il respiro regolare.

Non sapevo ancora che quel sentimento, così estraneo, sarebbe diventato la mia rovina.

Non sapevo ancora che quel sentimento, così estraneo, sarebbe diventato la mia rovina

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