Mai fidarsi... di uno spirito dei boschi!

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Il nostro cuore batte sempre, eppure sembra che ce ne accorgiamo soltanto quando proviamo sensazioni intense. Avevo paura, ero tesa e non riuscivo a credere a ciò che stava succedendo.

«Stai bene? Sei terribilmente pallida» mi disse Grace, un'amica, seduta accanto a me, su quelle poltroncine che ero sicura dovessero essere blu e non nere.

Avrei voluto dirle anche tu. Anche tu sei pallida!

Ma le parole mi restavano bloccate sulla lingua. La sua pelle era bianca, come i popcorn nel cartone che traballavano nelle mie mani, come la luce dello schermo del mio cellulare, come il resto delle persone che prendevano posto per l'inizio del film. Un film horror di cui non ricordavo nemmeno più il titolo.

Avevo perso i colori. Vedevo tutto come se fosse stato catapultato in una vecchia televisione del primo millenovecento.

Sbattei le palpebre tante volte, ma non servì a nulla.

Scossi la testa e i capelli mi ricaddero inesorabilmente davanti al viso. Dovevano essere rossi e non neri come il catrame. «Vado un attimo in bagno» le bisbigliai, trovando la voce: «Torno subito». Ero tentata di dirle che non vedevo più, ma non volevo spaventarla.

Non le diedi il tempo di rispondere, mi infilai il cellulare in tasca e uscii da quella sala. Forse sperando che il resto del mondo fosse di nuovo normale, ma non era così. Tutto era grigio sporco o nero come le ombre o bianco come il latte.

Non avevo nemmeno visto chi mi aveva mandato il messaggio che mi aveva spaventato e fatto cadere il telefono per terra. Mi maledissi per non averlo messo in silenzioso e mi diressi a grandi passi verso i bagni. La porta cigolò dichiarando la mia presenza. Una ragazza si stava mettendo del lucidalabbra grigio sulla bocca già ampiamente grigia, con fare annoiato.

Mi guardai allo specchio, che mi rimandò un riflesso spento e piuttosto allarmato.

Doveva essere uno scherzo. Doveva essere così. Cercai di non tremare, mentre vedevo che la ragazza mi osservava con la coda dell'occhio.

Respirai, mi feci forza per non aggrapparmi alla ceramica fredda del lavandino.

Presi il telefono per cercare su google se esistessero malattie del genere. Ma sbloccando lo schermo mi accorsi del messaggio a cui davo la colpa di quello che mi stava accadendo.

Era Adam.

Ti devo parlare, chiamami.

Ruotai gli occhi verso il soffitto bianco. Tipico di lui dare sempre ordini. Rimisi a via il cellulare e mi lavai i polsi sotto l'acqua corrente.

Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto. Boccheggiai come se stessi affogando. Mi mancava il respiro.

«Non usare l'ultimo bagno, mi hanno detto che è otturato. Pare che qualcuna ci abbia buttato dentro un assorbente» disse la ragazza sul lavandino accanto al mio. Arricciò il naso e poi girò i tacchi, facendo ruotare  la sua gonna a scacchi neri e... neri e si dileguò.

Mi sentivo la fronte in fiamme. Dovevo chiedere aiuto. Un frastuono improvviso mi fece sobbalzare. Uno schiocco di qualcosa che si rompeva, lo sciabordio dello sciacquone in fondo alla fila di gabinetti. Una voce maschile proruppe in esclamazioni colorite e mi ricordai che la ragazza mi aveva avvisata dei lavori in corso nell'ultimo bagno.

Chiusi gli occhi e mi concentrai sullo scorrere dell'acqua. Tutto era buio, ma almeno così c'era soltanto un colore da affrontare, ovvero il nero. Pensai di tornare in sala e parlarne con Grace. Lei avrebbe saputo come agire, aveva sempre una soluzione per tutto e poi se tardavo sarebbe venuta a cercarmi comunque.

Il cellulare si mise a squillare, destandomi da quei pensieri. Lo tirai fuori dalla tasca dei jeans un'altra volta, imprecando, e senza nemmeno leggere il nome sul display risposi.

«Che c'è?» dissi agitata e confusa.

«Vieni fuori. Ti sto aspettando» rispose una voce sconosciuta. Una voce maschile roca e terribilmente invitante.

«Mi... Mi dispiace temo che abbia sbagliato numero» farfugliai, sempre più confusa mentre mi concentravo sul grigiore delle mattonelle. Di sicuro non era Adam.

«Non sei Karen Green?».

Il sangue mi si gelò nelle vene. Quel tizio mi conosceva. «Sì!» esclamai.

«Allora vieni fuori se vuoi avere almeno la speranza di riavere i tuoi colori».

«I miei colori?» gli stavo chiedendo, ma aveva già riagganciato.

Sapevo perfettamente che non era una buona idea. Ma non avevo altra scelta, quel tizio forse poteva aiutarmi o almeno sapeva cosa mi stava succedendo.

Arrivai in fretta nel parcheggio del cinema. Ma era deserto, ad eccezione per la fila di macchine scure parcheggiate sotto le luci biancastre dei lampioni.

Rabbrividii. Avevo lasciato il giubbotto a Grace, nella sala numero due.

Un'ombra si mosse accanto a me. Sembrò staccarsi direttamente da una locandina pubblicitaria. Si avvicinò velocemente. D'istinto indietreggiai verso l'entrata del cinema, ma due mani mi bloccarono prendendomi per le spalle.

«Eccoti qui, finalmente» sussurrò la stessa voce che avevo sentito al telefono.

«Chi sei?» gli chiesi senza fiato.

«Il mio nome è Trevelien e se mi prometti di non urlare non ti farò nulla».

«Trevelien?» ripetei quello strano nome.

Nella penombra resa ancora più scura dal fatto che non più vedevo i colori, non riuscivo a distinguergli bene il volto. Ma profumava di erba tagliata, resina e aghi di pino.

Sospirò estasiato a pochi centimetri dal mio viso: «Non pensavo che fosse così bello sentirlo pronunciato dalla tua voce».

«Come fai a conoscermi?».

Mi posò un dito sulle labbra per farmi tacere: «Per favore ho poco tempo. Devi perdonarmi per averti fatto tutto questo giochetto, ma non sapevo come attirare la tua attenzione. Se vuoi riavere la vista devi darmi un morso». Si indicò il collo: «Proprio qui! Puoi fidarti perché si tratta di un incantesimo che ti ho fatto io».

Avevo ancora paura. Volevo scappare, gridare e darmi della stupida per aver seguito il consiglio di quel ragazzo strano. Però lo feci. Mi alzai in punta dei piedi e lo morsi con delicatezza. La sua pelle era morbida e calda, mentre io mi sentivo come una specie di vampiro. Percepii il suo tremore sotto il mio tocco e le sue dita dietro la nuca.

Quando riaprii gli occhi il ragazzo era scomparso come un alito di vento, ma non aveva mentito. Mi concentrai felice sulle tinte metallizzate delle auto. Tutto era tornato normale, ma nell'aria qualcosa vibrava e volteggiava, come uno spirito invisibile.

 Tutto era tornato normale, ma nell'aria qualcosa vibrava e volteggiava, come uno spirito invisibile

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Traccia per il concorso della libreria del Cappellaio Matto, prova "Il mondo in bianco e nero".



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