Sei felice?

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«Ci sono cacciatori su questo pianeta?»
«No»
«E delle galline?»
«No»
«Non c'è niente di perfetto» sospirò la volpe. Ma poi ritornò alla sua idea: «La vita è monotona. Io do la caccia alle galline e gli uomini danno la caccia a me. Le galline si somigliano, anche gli uomini si somigliano tutti. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà diversa. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Un passo che mi farà uscire dalla tana invece di nascondermi, come musica. E poi, guarda! Lo vedi laggiù, il campo di grano? Il grano per me è inutile, ma quando mi avrai addomesticato mi farà pensare ai tuoi capelli color dell'oro... Per favore addomesticami».
«Volentieri» le rispose il piccolo principe, «Ma non ho molto tempo, ho degli amici da scoprire e da conoscere nuove cose».
«Non si conosco che le cose che si addomesticano» gli rispose la volpe.

Me ne sto tranquilla a leggere su una panchina. Il vento muove i rami dell'albero che mi offre la sua ombra gentile. Sembra che possa parlarmi e in cuor mio spero che ogni tanto sbirci la storia che sto leggendo, nonostante le pagine siano di carta... A pensarci meglio non so se gli farebbe così tanto piacere. 

Decido di alzarmi e li vedo.

Mio fratello è una su una giostra insieme ad altri nostri compagni di scuola. Una di quelle giostre in ferro con i seggiolini, quelle che girano. C'è anche il ragazzo che mi piace, il mio compagno di banco che mi fa sempre tanto ridere durante le lezioni, così tanto che mi devo coprire la bocca per evitare di essere scoperta.

Ho sempre pensato che non ci fosse qualcosa in grado di rendermi così felice da dire di essere al massimo della felicità. Mi piaceva pensare di acchiappare quei momenti come fossero nuvole di meringa, ma solo perché ero fermamente convinta che nel futuro magari capitava qualcos'altro che sapeva rendermi ancora più felice di come lo ero stata. 

La felicità dopotutto è mutevole, come la pelle di un serpente o l'amicizia con una volpe che si è costretti ad abbandonare. 

Eppure in quel momento vedere mio fratello insieme ad altre persone, finalmente accettato, mi fa scendere un brivido giù lungo il cuore, e sento le mie labbra distendersi in un sorriso che sembra perfetto. 

Lui dondola i piedi uno davanti all'altro e guarda per terra.

Nessuno lo respinge. Lo osservano, come se lo dovessero studiare. 

Nessuno accenna a far partire la giostra ora che tutti i posti sono finalmente occupati. 

Così mi avvicino. Sento le loro voci, ma voglio capire cosa dicono e da così lontano non ci riesco. 

Un passo... 

Qualcuno gli dà del gay. Con ribrezzo, come fosse un'insulto. 

Qualcun'altro lo ripete.

Un altro passo... 

Qualcuno gli dice che è malato. 

Accelero, non voglio che senta quelle cose, non voglio che lo feriscano. 

Qualcuno gli dice di correre via in quel suo modo strano, da femmina, saltellando come farebbe una farfalla.

Li vedo agitarsi e inizio a preoccuparmi. 

Ancora uno passo, sono quasi arrivata.

Qualcuno gli dice che con quegli occhiali sembra l'Harry Potter dei poveri. 

Mio fratello si alza, corre via a testa china. Lo vedo sparire dietro un gruppo di alberi opposto alle giostre per bambini. Non mi nota. 

Vorrei inseguirlo, dovrei farlo. Dovrei dirgli di non dare peso a quelle cattiverie, che quei ragazzi sono solo invidiosi perché sono stupidamente ordinari e non sono capaci di essere altro. 

Invece li sento ridere e proseguo dritta. Arrivo davanti alla giostra. 

Quei ragazzi mi guardano.

Stringo i pugni, non ho il coraggio di alzare gli occhi. 

Sento ancora le loro parole ronzarmi nelle orecchie. Perché? Perché glielo hanno detto? Cosa gli ha fatto di male mio fratello per meritarlo? Il cuore mi batte forte. La delusione mi scalda l'anima e mi dico che sono tonta, perché speravo che la situazione potesse cambiare. Speravo che... 

Vorrei dire qualcosa, ma le parole mi si bloccano in gola. 

Vorrei dirgli che hanno ferito mio fratello e quindi hanno ferito anche me. Potrebbe importargli?

Vorrei dirgli che dovrebbero pensare prima di aprire la bocca e che si sono comportati da mostri, che dovrebbero accorgersi del male che fanno agli altri. 

Eppure non ci riesco. 

Sento lacrime scendere calde dai miei occhi e scivolare sulle mie guance. 

Uno di loro si alza dalla seggiola e sollevo lo sguardo, lascio che mi vedano piangere. 

Lascio che vedano quello che mio fratello non gli mostrerà mai. 

«Non fategli mai più del male» dico, ma la voce mi trema: «Mai più».

Eppure ho urlato. Ho urlato così forte che temo mi abbiano sentito anche quella coppietta di anziani che sta dando da mangiare ai piccioni al di là della stradina, e la ragazza che porta a spasso il cane. 

Non saprei decifrare le loro espressioni, sento solo il dolore che brucia con le mie lacrime. I miei occhi si posano stupiti in quelli del mio compagno di banco che storce le labbra in una smorfia.

Il ragazzo che si è alzato in piedi fa un passo verso di me, io ne faccio uno indietro.

Il silenzio viene interrotto dalle loro risate, di nuovo. Non ne posso più.

Stringo i pugni ancora più forte. Sento che la mia stretta si fa sudata attorno alla copertina del libro.

Corro, come ha fatto mio fratello. Corro via perché mi sento inutile, perché il mio gesto non è servito a nulla.

Mi rannicchio contro un albero e nascondendomi mi lascio andare.

Chiudo gli occhi, vorrei poter tornare indietro nel tempo e cancellare quello che hanno fatto a mio fratello. So già che se lo porterà con sé per sempre.

Una mano si posa sulla mia spalla, è lui. Scivola al mio fianco.

«Dimmi: stai piangendo perché sei felice?» mi domanda.

Nei suoi occhi non c'è traccia nemmeno di una lacrima. Forse è già più forte di me.

«Sì» mento, ma poi afferro la sua mano e la stringo forte: «Piango perché sono tanto felice di avere un fratello come te».


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Storia scritta per la traccia "Su e giù, sulle montagne russe!" della Libreria del Cappellaio Matto.

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