La teoria della mela

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103.

Il numero di passi che segnava l'applicazione sullo schermo del cellulare. Rimasi con lo sguardo fisso su quel numeretto, come se significasse qualcosa. Sicuramente doveva trattarsi di un errore. I piedi mi facevano così male. Probabilmente ne avevo fatti almeno il quadruplo per arrivare fin lassù. Da quella terrazza panoramica si vedevano le stelle, brillavano come gemme sulla corona di un re, e le numerosi luci della città sembravano formare un mosaico luminoso in continuo mutamento.

Mi riscossi e misi il telefono nella tasca della borsa a tracolla.

Infilai le mani nelle tasche del giubbotto per proteggerle dal gelo invernale.

Mentre la sinistra era vuota, nella destra avevo un pacchetto di fazzoletti e qualcosa di ruvido e appiccicoso. Tirai fuori la mano dalla tasca, per esaminare di che cosa si trattasse.

Era un cioccolatino, avvolto in una piccola carta azzurra, ruvida con tante piccole stelline bianche in rilievo.

Che cosa ci faceva un cioccolatino nella mia tasca?  Non ricordavo di averlo mai visto. Né tanto meno di avercelo messo.

Il cellulare vibrò distraendomi di nuovo. Con un sospiro ansioso sbloccai lo schermo, concedendomi qualche istante per sperare che fosse un suo messaggio.

Invece era soltanto qualcuno che aveva sbagliato numero, visto che non era salvato nella mia rubrica.

"Scordatelo".

Era la sola parola che recitava. Di che cosa avrei dovuto scordarmi?

Ci pensai, per poi rendermi conto che quel messaggio non era davvero rivolto a me e mi affrettai a rispondere.

"Credo che lei abbia sbagliato numero".

La risposta fu immediata. "No, non ho sbagliato. Lui non verrà!".

Alzai gli occhi al cielo, provando una certa frustrazione. Magari ero vittima dello scherzo di qualche suo amico. Poi la mia mente cercò di rassicurarmi. Dopotutto era stato lui a voler uscire con una come me. Forse è solo un po' in ritardo. Lui verrà all'appuntamento. Tu gli piaci.

Ma quando all'improvviso l'unico lampione che illuminava la piccola piazzola si spense, lasciandomi al buio della notte, il mio cuore si mise a sussultare.

Tum. Tum. Tum.

Batteva sempre più forte, come se fosse inseguito da un animale selvatico e con questa sua prepotenza nascondeva qualsiasi lucida rassicurazione potesse venirmi in mente.

L'unica cosa che mi riuscì di fare fu quella di stringere la sola fonte luminosa, ovvero lo schermo del display. "Non è divertente" scrissi frettolosamente a quel numero sconosciuto.

"Dai, non sei completamente al buio. Ci sono sempre le stelle...".

Non terminai di leggere quella frase. Il mio sguardo balzò sulle case alle mie spalle alla ricerca di quella persona che sentivo mi stava spiando, nascosta nel buio. Ma tutti i balconi erano chiusi, formavano quasi un tutt'uno con i muri scuri e le edere rampicanti. Nessuna lama di luce oltre i confini dei rettangoli di legno delle finestre. Nessun ombra dietro i cespugli al limitare delle scale che salivano fino a quello spiazzo.

Mi allontanai dal muretto che fungeva da parapetto. Con la netta sensazione che quel qualcuno sarebbe potuto comparirmi dietro le spalle e spingermi giù, facendomi cadere nel vuoto.

Un rivolo di sudore mi scese lungo il collo. Non riuscivo più a scorgere bellezza in quel cielo. Le stelle non mi sembravano luminose. La città mi sembrava lontana. Tutto era intriso della mia paura.

La coscienza mi urlava di correre. Di tornare a casa. Ma sarei dovuta passare per l'unica via di fuga, ovvero quelle dannate scale di pietra, e i cespugli che ne ornavano i contorni dove ci sarebbe dovuto essere un corrimano, non smettevano di frusciare in modo inquietante.

È solo il vento, mi ripetei.

Mi venne in mente l'idea di chiamarlo e chiedergli dove si fosse cacciato.

Sapeva che avevo paura del buio? Glielo avevo detto io? Non ricordavo.

Magari era nascosto dietro l'angolo a ridere di me. Cominciai a sentirmi stupida.

Perché quel lampione si era fulminato proprio adesso? Proprio sta sera?

Mentre ci riflettevo, non mi accorsi della figura che mi guardava appoggiata al palo di quel lampione spento, finché non tossicchiò per attirare la mia attenzione.

«Chi sei?».

«Chi sono? Ottima domanda». Non riuscivo a distinguere bene i suoi tratti da quella distanza, ma la sua voce non la conoscevo. «Diciamo che sono una spia russa, va bene?».

«Una spia?» cercai di prendere tempo. Stringevo ancora tra le mani il mio cellulare, maledicendomi di aver eliminato l'applicazione della torcia per puntargli un bel fascio luminoso negli occhi, distrarlo e fuggire.

«Non ti preoccupare. Non sono qui per farti del male. Sai... la mela non cade mai lontana dall'albero».

«Che vuoi dire?» gli chiesi perplessa, indietreggiando di un passo, mentre quello sconosciuto ne avanzava di uno verso di me.

«Oh nulla. Solo che se magari qualcuno ti prende e ti da un morso forse ti passerebbe la paura del buio».

Imprecai quando la mia schiena incontrò di nuovo il parapetto della terrazza.

«Un morso di zanzara, un morso di vampiro, un morso di tigre, così non penseresti che adesso sei al buio».

Lo fissai confusa. «Cos'è quella faccia? Oggigiorno è facile essere morsi da una tigre».

«Io... io...» farfugliai. Con un riflesso incondizionato tirai fuori il cioccolatino che avevo in tasca e glielo puntai contro quasi fosse una pistola.

«Quello è per te. Non puoi rendermelo. Te l'ho dato io, ricordi?».

D'un tratto mi venne in mente quando, nel tragitto con l'autobus per arrivare fino alla terrazza, mi aveva urtato un ragazzo con una felpa con un disegno di un sole rosso con tanti occhi di diversi colori al suo centro, e mi aveva trattenuta affinché non cadessi per terra.

«Non perdere il tuo tempo con lui» alzò una mano e indicò lo schermo del mio telefono, dove ancora era aperta la foto profilo del ragazzo che stavo aspettando e l'opzione per avviare la chiamata. «È una mela caduta troppo vicino alle radici».

Notai che quel tizio indossava una felpa e portava anche gli occhiali da sole. Adesso avrebbe potuto raggiungermi con un solo passo.

«Ricorda, meglio non essere una mela. Non cadono mai lontane dal proprio albero». Sbattei le palpebre, ma quel tizio era già scomparso nel nulla. Volatilizzato.

Alla nuova luce del lampione però sul mio palmo un secondo cioccolatino faceva compagnia al primo.

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note: (fuori gara) partecipa alla traccia "La paura del cuoco" della Libreria del Cappellaio Matto 

CONTINUA...

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