Mille volti, una sola anima

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Si ritrovò a chiedersi se la sua bocca sapesse di tappo di sughero, mentre le sue labbra si spingevano audaci contro quelle secche di Lord Lontbottom. 

Solo poche ore prima ne aveva tenuto uno in bocca per far scena, versando da bere alle guardie che proteggevano il piano superiore. 

Stava aspettando soltanto che l'oppio facesse effetto.

Aveva tenuto sotto scacco quel Lord per settimane. Era un vecchio a cui si potevano contare le rughe, con un ginocchio lento, a cui piaceva frequentare in segreto i bordelli, ma disgustosamente ricco e soprattutto invitato al Gran Ballo in maschera di Rosacanina. 

Sapeva che, una volta convinto il Lord a farsi accompagnare, non avrebbe perso tempo in inutili minuetti, ma non aveva messo in conto il suo fervore per tediosi monologhi in cui raccontava come si era rotto il ginocchio in una partita di caccia o di quanto fosse bella sua moglie prima di morire di malattia del sudore. 

Con quel bacio lo aveva interrotto, risparmiandosi un'emicrania. Lord Lontbottom aveva le guance imporporate dall'imbarazzo, una vena visibile sul collo e occhi lucidi che ora frugavano la sala alla ricerca di possibili spettatori. Dopotutto l'aveva presentata come la sua lontana nipote Amity, e tutti sapevano ormai che sotto la mezza maschera di piume di pavone c'era lui. 

«Avete caldo? Vi porto qualcosa da bere» disse la finta Amity come se non fosse accaduto nulla. Si alzò dalle panche sistemate sul terrazzino prima che potesse dirle qualcosa. 

Non avrebbe più messo piede al suo fianco. Lord Lontbottom era stato soltanto il suo lasciapassare per entrare al palazzo, dove ogni equinozio di primavera si riunivano le sette famiglie nobili più avvenenti del ducato di Rosacanina. 

Con la coda dell'occhio notò il vecchio sventolarsi con la mano. 

Girovagò tra le ampie gonne in broccato delle dame e le giacche damascate dei nobiluomini, tra le note festose dei musicisti, e la servitù indaffarata a correre ovunque con vassoi stracolmi di manicaretti e calici. Tutti portavano maschere variopinte a celare la loro identità, chi con piume, chi tempestate di gemme preziose, chi con pelliccia di animale. Amity ne aveva una bianca con piume di pavone, come il suo finto zio. 

Tutto quello sfarzo era disorientante. 

Gli invitati erano talmente numerosi che la sala traboccava e nessuno parve accorgersi che lei stava sgattaiolando via. 

Sapeva dove andare, nonostante fosse la prima volta in cui riusciva a entrare in quel palazzo. Aveva sentito le serve che andavano a lavare i panni al fiume, discorrere di un passaggio che permetteva di svincolare le scale. Il duca lo aveva fatto costruire appositamente per le sue amanti, per non essere scoperto dalla consorte.

Si tolse da sotto la gonna un piccolo pugnale e ne saggiò la punta sul pollice. Fece mente locale dei racconti che aveva sentito, pregando la dea Bendata affinché non fossero frottole. 

Dietro la colonna con l'edera di marmo c'era una parete scorrevole, il passaggio segreto che conduceva agli alloggi del duca. Controllò che non ci fosse nessuno e cercò la fessura per l'entrata. Esultò con un sorriso e si immerse nel buio di un cunicolo. Si aiutò posando il palmo sudato contro il muro, finché dei rumori la costrinsero a fermarsi. 

Un reticolato di luce illuminava la fine della galleria. Si appiattì e osservò attraverso i rombi di ferro della grata. A quanto pareva l'illustre duca di Rosacanina era impegnato in... Attività acrobatiche con una donna dai lunghi capelli rossi. Il piano era di avvelenargli i cuscini, ma anche così poteva farcela.

Gli echi dei due amanti si ripetevano nelle sue orecchie, veloci come il suo battito cardiaco. Prese la fiala con il veleno dalla tasca interna della gonna e lo versò lentamente sulla lama del pugnale. I fori erano abbastanza grandi per farlo passare e la sua mano era allenata.

Guardò e attese, finché i due amanti cambiarono posizione e il duca espose la sua schiena.

Tirò. Il pugnale fendette l'aria, andando a segno vicino al cuore. 

Fuggì, sentendo l'urlo terrorizzato della donna, ma le guardie fuori della stanza erano addormentate e non l'avrebbero aiutata. 

Stava giusto facendo ritorno alla sala da ballo quando un uomo in armatura la fissò perplesso. «Cercavo... Devo essermi persa» spiegò sorridendo. 

***

Garreth lo stava fissando mentre si lavava, versandosi un secchio d'acqua gelida direttamente sopra la biancheria intima. 

«A volte stento a riconoscerti» disse al fratello: «Non credevo potessi passare anche per una donna, razza di farabutto». 

Alisander si tolse gli stracci e le due arance che aveva messo per gonfiare il petto nel corsetto e le posò accanto a una maschera decorata con piume di pavone. «Se fingi bene tutti ci credono e non farmi credere che ti dispiace» le sue mani volarono dietro la schiena: «Aiutami ad aprire questa diavoleria». 

Garreth gli fu subito dietro ad allentare i lacci. Tra i due fratelli Mannor, Al era sempre stato quello mingherlino e dai lineamenti più dolci, ma quando lo aveva visto tornare alla taverna con tanto di boccoli nei lunghi capelli, Garreth si era messo le mani sulla faccia. 

«Non voglio sapere cosa hai fatto e come hai reperito questo vestito» rise. 

Alisander ghignò, in effetti era meglio così. Era meglio che non sapesse che aveva messo in subbuglio tutto il ducato. Il suo sguardo si posò sul mazzo di lavanda abbandonato sulla cassapanca. 

«L'ha portata Lady D'Ambrey. Dice che sei un uomo da sposare, ha cavalcato fin qui solo per te stamattina ma le ho detto che non c'eri. Voleva aspettarti». 

Al scosse la testa. Si immergeva nei suoi molti ruoli così bene che spesso nemmeno lui riusciva a distinguere la realtà. La Lady si era innamorata del lui sensibile poeta, non avrebbe mai amato la maschera dello spietato assassino. 

«Forse è il caso di lasciare finalmente questa topaia di ducato». Sospirò massaggiandosi i polsi. Dopotutto con l'omicidio del duca stava per guadagnare una bella somma. Magari le avrebbe mandato una rosa quando lui e Garreth avrebbero trovato fortuna oltremare, dopotutto Lady Roana D'Ambrey era stata un ottimo passatempo. 


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Storia scritta per la prova "Il volto sotto la maschera" della Libreria del Cappellaio Matto.

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